La natura non è soltanto un patrimonio da proteggere, ma un capitale strategico per l’economia. È questo il messaggio centrale del convegno Restoration Economy: le imprese protagoniste della riqualificazione dei territori, organizzato dal Nature Positive Network con il supporto dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po e della Fondazione Sviluppo Sostenibile.
Restoration Economy, le imprese italiane puntano sulla natura per creare valore e competitività
Il rapporto “Verso un’economia Nature Positive” evidenzia come gli investimenti nel ripristino degli ecosistemi possano generare ritorni economici fino a 38 euro per ogni euro speso, mentre non intervenire sul degrado costerebbe all’Italia 2,2 miliardi l’anno. A livello comunitario, la perdita stimata supererebbe i 57 miliardi annui, con effetti cumulati devastanti per l’economia europea entro il 2050.
La situazione nazionale appare critica: il 46,3% delle superfici naturali è a rischio, solo il 9,9% degli habitat gode di uno stato di conservazione favorevole e il consumo di suolo continua a crescere, in particolare nella Pianura Padana. La qualità delle acque non è migliore: appena il 47% dei corpi idrici superficiali raggiunge uno stato ecologico buono o elevato.
Eppure gli ecosistemi in buona salute sono fondamentali per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Stoccaggio dell’acqua, stabilizzazione dei suoli, riduzione delle isole di calore e sequestro del carbonio sono solo alcune delle funzioni che contribuiscono alla resilienza economica e sociale dei territori.
Edo Ronchi, presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile, ha sottolineato che “rigenerare la natura è un fattore imprescindibile per contrastare la crisi climatica ed ecologica che minaccia la stabilità della nostra economia”, rimarcando come i benefici siano superiori ai costi.
Dal lato delle imprese, la strategia “nature-positive” si traduce in nuove opportunità: maggior accesso al credito, innovazione, apertura a mercati emergenti e un forte legame con i territori. Circa il 75% dei prestiti bancari alle imprese europee è infatti concesso ad aziende con elevata dipendenza da servizi ecosistemici. Investire nella natura, dunque, significa rafforzare competitività e garantire resilienza.
Il tema delle risorse resta centrale: l’UE ha previsto 115 miliardi per la biodiversità nel bilancio 2021-2027, ma sarà necessario unire fondi nazionali, regionali e privati. Come ha ribadito Giuseppe Dodaro, coordinatore del Nature Positive Network, “per le imprese investire nella natura significa garantirsi competitività nell’immediato futuro e assicurare risultati ecologici concreti attraverso interventi scientificamente validati”.
A sostenere questo nuovo paradigma ci sono già numerose realtà produttive e istituzionali: da 3Bee a A2A, da Edison a Gruppo FS, da Chiesi a Novamont, passando per Mutti, Davines Group, Iren, Lush, AlmavivA, Lombard Odier, Nativa, Gruppo CAP e molti altri. Un insieme variegato che testimonia come la Restoration Economy non sia più una nicchia, ma un percorso condiviso tra pubblico e privato per uno sviluppo sostenibile.