È scomparso all’età di 96 anni Franzo Grande Stevens, avvocato tra i più illustri del panorama italiano, maestro di diritto e raffinato interprete delle complesse dinamiche economiche e giuridiche che hanno attraversato il Paese nell’arco di oltre settant’anni. Nato a Napoli il 13 settembre 1928, di origini napoletane e siciliane, Grande Stevens era ben più di un semplice legale: era l’avvocato dell’Avvocato, amico e uomo di fiducia di Gianni Agnelli, al cui fianco ha scritto pagine decisive della storia industriale italiana.
Addio a Franzo Grande Stevens, “l’avvocato dell’Avvocato”
Chiunque lo abbia conosciuto ne ricorda l’inconfondibile signorilità, la lucidità cristallina, l’onestà intellettuale e l’inesauribile disponibilità all’ascolto. Era un gentiluomo d’altri tempi, animato da un’etica rigorosa, dotato di un eloquio limpido e penetrante, ma mai sopra le righe. Una figura capace di conciliare preparazione enciclopedica e umanità, fermezza e ironia, talento e spirito di servizio.
Allievo del grande Alessandro Galante Garrone, si trasferì a Torino negli anni Cinquanta e fu subito notato per la sua finezza culturale e giuridica. Dopo essersi laureato all’Università Federico II, nel 1951, entrò nell’Ordine degli avvocati torinese nel 1956. Da lì iniziò una carriera straordinaria: fu vicepresidente della Fiat, presidente della Compagnia di San Paolo, consigliere di amministrazione di Ifil e Rcs. Seguirà da vicino le operazioni più delicate e decisive per l’economia italiana, difendendo gli interessi delle famiglie più importanti, dai Ferrero ai Pininfarina, dai Lavazza all’Aga Khan, passando per Carlo De Benedetti.
Tifoso appassionato della Juventus, ne fu presidente tra il 2003 e il 2006, in un periodo turbolento segnato dallo scandalo Calciopoli. Anche nei momenti più delicati, Franzo Grande Stevens mantenne quel tratto sobrio e quel senso istituzionale che lo avevano reso una colonna portante della Torino giuridica e sportiva. Dopo la presidenza, restò legato al club come presidente onorario, accompagnando la società con la discrezione e l’affetto di chi ne ha davvero a cuore il destino.
Nel 1976 partecipò, assieme a Fulvio Croce, al processo contro i capi storici delle Brigate Rosse, assumendo l’incarico di difensore d’ufficio in un clima di estrema tensione. Un gesto di grande coraggio civile e professionale, testimoniato anni dopo nel suo libro “Vita d’un avvocato”, pubblicato da Cedam nel 2000. Fu presidente del Consiglio nazionale forense dal 1984 al 1991 e della Cassa previdenziale forense.
Lo scorso novembre, in occasione della premiazione per i 70 anni di carriera, la figlia Cristina lesse al posto suo una lettera che è rimasta nella memoria della comunità forense: un messaggio di cultura, saggezza e spirito di sacrificio. Un vero testamento morale per le nuove generazioni.
Da anni aveva lasciato le redini dello studio legale, con sede in via del Carmine a Torino, alla figlia Cristina e all’allievo Michele Briamonte, assicurandosi che i suoi valori – professionalità, deontologia, correttezza – restassero la stella polare della nuova generazione.
Sul sito dello studio si legge: “Ha seguito e assistito le più importanti famiglie italiane e straniere, società, banche e finanziarie che hanno dominato il panorama italiano e internazionale. Maestro di diritto, fondatore dell’avvocatura moderna. Esempio per generazioni di giuristi ed esperti di finanza internazionale.”
Il sindaco della città, Stefano Lo Russo, ha commentato con parole sentite: “Con la sua scomparsa Torino perde una mente acuta, figura importante nella storia giuridica, economica, culturale e sportiva della nostra città. Condoglianze sentite vanno alla sua famiglia e ai suoi cari.”