Dopo la flessione fisiologica indotta dalla pandemia, la formazione continua dei lavoratori torna a espandersi con numeri superiori ai livelli pre-Covid. È quanto emerge dalla XXIV edizione del Rapporto sulla Formazione continua in Italia, curato dall’Istituto per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Un documento che offre una fotografia articolata sullo stato e sull’evoluzione del sistema formativo rivolto agli occupati, mettendo in luce progressi, criticità e prospettive strategiche.
Formazione continua: crescono gli investimenti e la partecipazione, ma resta il nodo delle competenze
Nel 2023, i 19 Fondi paritetici interprofessionali – strumenti bilaterali promossi dalle parti sociali – hanno coinvolto quasi 2 milioni di lavoratori, ovvero circa il 20% degli occupati del settore privato. Un risultato cui si è aggiunto il contributo del Fondo Nuove Competenze (FNC), promosso dal Ministero del Lavoro, che ha cofinanziato iniziative formative mirate per oltre 550mila lavoratori, grazie anche a una dotazione aggiuntiva di 731 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato: accelerare l’adeguamento delle competenze digitali e ambientali, con una platea potenziale di un ulteriore milione di lavoratori.
Nel dettaglio, nel 2023 sono stati approvati 53.795 piani formativi finanziati dai Fondi interprofessionali, con una prevalenza delle modalità tramite conto aziendale o aggregato rispetto a quelle attivate tramite Avvisi. Le aziende beneficiarie sono state oltre 96mila. Tra i piani approvati, 232mila lavoratori hanno partecipato a progetti territoriali e 33mila a quelli settoriali.
Cresce anche, seppur con limiti strutturali, la partecipazione generale degli adulti italiani (25-64 anni) ad attività di formazione, salita all’11,6% (+2 punti rispetto al 2022), con l’Italia che passa dal 18° al 14° posto nel ranking europeo, pur restando sotto la media UE. Rilevante il divario tra occupati (13%) e disoccupati inseribili (6,9%), così come tra lavoratori ad alta qualificazione (21,6%) e quelli a bassa qualificazione (5%).
La dimensione territoriale e quella di genere continuano a rappresentare fattori discriminanti nell’accesso alla formazione.
Le donne partecipano più degli uomini (14,7% contro 11,6%) – con un picco tra i 25 e i 34 anni – e le regioni del Nord e del Centro superano nettamente il Mezzogiorno, dove persiste un doppio divario: geografico e di genere.
Nel contesto post-pandemico e in piena transizione tecnologica e ambientale, la formazione continua si configura sempre più come leva strategica per la competitività del sistema produttivo. Il presidente dell’INAPP, Natale Forlani, ha evidenziato come “l’impatto delle tecnologie digitali, green e dell’invecchiamento della popolazione attiva amplifichi il mismatch tra domanda e offerta di competenze”.
In quest’ottica, “è fondamentale accrescere quantità e qualità dell’offerta formativa, potenziando il ruolo dei Fondi interprofessionali nelle politiche attive del lavoro e nei sistemi di certificazione delle competenze”.
Il Rapporto contiene anche i risultati dell’indagine INDACO-Imprese, che segnala un ritardo significativo nella gestione del knowledge transfer intergenerazionale: solo il 5,3% delle imprese dichiara di occuparsene sistematicamente, mentre l’80% non riconosce il tema come prioritario. Tra i pochi casi virtuosi, emerge un’interessante dinamica inversa: la trasmissione di competenze dai lavoratori più giovani (18-34 anni) ai colleghi senior, in particolare in ambito digitale (29,9%) e linguistico (19,3%), con una maggiore concentrazione nel Nord Italia.
In un mercato del lavoro sempre più esigente e interconnesso, la valorizzazione delle esperienze formative aziendali e territoriali – soprattutto in favore delle PMI – si conferma dunque una delle sfide centrali per sostenere la crescita inclusiva e l’occupabilità delle risorse umane italiane. E per tradurre la transizione tecnologica in reale progresso economico e sociale.