Mario Draghi lo dice con convinzione, quasi fosse una cosa scontata. Eppure, quando compare davanti alle commissioni Bilancio, Industria e Politiche Ue di Senato e Camera, le sue parole colpiscono l'uditorio.
Perché fa effetto sentirsi dire da lui che ''si capiva già che saremmo andati verso una guerra commerciale. L'Europa é più vulnerabile di tutti gli altri. Perché? Perché noi traiamo il 50% del nostro prodotto dal commercio estero, gli Stati Uniti solo il 26%, la Cina il 32%. Quindi, se gli altri mettono dei dazi e noi rispondiamo, alla fine fondamentalmente creiamo anche un danno a noi stessi, perché di fronte a una risposta degli altri siamo più vulnerabili. Perché gli altri ci colpiscono di più di quanto possiamo fare noi a loro".
Dazi, Draghi: "Una guerra commerciale era inevitabile"
L'ex per antonomasia (ex governatore della Banca d'Italia, ex presidente della Bce, ex presidente del consiglio, solo per citare qualche suo precedente incarico) ha fatto un intervento ad ampio spettro, toccando argomenti di stringente attualità. Come quando ha detto che ''la nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l'invasione dell'Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l'Unione Europea''.
Nel presentare al parlamento il suo Rapporto sul futuro della competitività europea, Draghi ha ammesso che l'Europa "è oggi più sola nei fori internazionali come è accaduto di recente alle Nazioni Unite, e si chiede chi difenderà i suoi confini in caso di aggressione esterna e con quali mezzi'', respingendo la seduzione, che parrebbe colpire qualcuno, di soluzione bilaterali. E per un motivo: "Non siamo sicuri che facciano bene a noi, oltre a renderci meno competitivi: l’Europa deve affrontare i problemi e trovare soluzioni insieme''.
Il Rapporto sul futuro della competitiva, firmato da Mario Draghi, punta la sua azione su innovazione, transizione energetica e difesa, prevedendo investimenti annui per 800 miliardi.
Ma Draghi ha dovuto spiegare che il suo impegno - cioè l'incarico conferitogli da Ursula von der Leyen - è arrivato quando ''i ritardi accumulati dall’Unione apparivano già preoccupanti''. Con il paradosso che ora la situazione addirittura è peggiore.
''L’Unione europea - ha detto - ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza. Questi sono i valori costituenti della nostra società europea''. Valori, ha detto, ''oggi posti in discussione''.
Draghi ha quindi affrontato l'argomento dei dazi, che da giorni tiene banco dopo l'ondata di aumenti tariffari decisi da Donald Trump, vere e proprie ''politiche protezionistiche del nostro maggiore partner che avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee''.
Quando l'Europa comunitaria ha appena approvato un piano di riarmo (dizione che non piace a Giorgia Meloni), il tema della difesa è tornato d'attualità e, per Draghi, è "tra le maggiori vulnerabilità a cui è esposta l’Unione''.
Draghi ha un suo modello di difesa comune europea, che deve necessariamente passare per ''una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale''.
Un'idea che si può rendere concreta creando le condizioni affinché le sinergie industriali europee puntino a sviluppare piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terrestri, satelliti).
L'ex premier ha quindi toccato proprio il piano RearmUe, dicendo che, a suo avviso, ''occorrerebbe che l’attuale procurement europeo per la difesa - pari a circa a 110 miliardi di euro nel 2023 - fosse concentrato su poche piattaforme evolute anziché su numerose piattaforme nazionali, nessuna delle quali veramente competitiva''.
Su questo punto Mario Draghi ha, nella sua esposizione, anticipato un concetto espresso anche da Giorgia Meloni, nella sua relazione prima degli appuntamenti di Bruxelles.
Per Draghi sarebbe meglio per l’Europa "aumentare i propri investimenti'' per il settore della difesa, piuttosto che ''ricorrere in maniera così massiccia alle importazioni: ne avrebbe certamente un maggior ritorno industriale''. Insomma, anche le spese di difesa, se significano coinvolgere le aziende europee, possono essere occasione per un incremento della produzione.
Da quando Mario Draghi ha presentato il suo Piano sono passati ormai sei mesi e per alcuni degli argomenti che ne sono diventati oggetto - costo dell’energia, regolamentazione, politica dell’innovazione - occorre muoversi velocemente prima che il ritardo con altre economie globali divenga insanabile.
A deputati e senatori, Draghi ha riproposto uno dei suoi argomenti fondamentali, quando si tratta di analisi macroeconomiche. Come quando parla di "costi dell'energia così alti pongono le aziende - europee e italiane in particolare - in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri'', mettendo a a rischio ''a sopravvivenza di alcuni settori tradizionali dell'economia, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita''.
Quindi, ha rimarcato, se si vuole mettere in essere una ''seria politica di rilancio della competitività europea'', essa non può che partire dalla riduzione delle bollette, sia quelle per le imprese che per le famiglie.
Per puntellare il suo ragionamento, Draghi ha ricordato che in Europa, negli ultimi 6 mesi il prezzo del gas naturale all’ingrosso è aumentato in media di oltre il 40%, ma con punte che hanno anche superato il 65%, mentre i prezzi dell'elettricità negli Stati Uniti sono anche 2-3 inferiori. Come a dire: come si può vincere una battaglia di questo genere partendo con un enorme gap energetico da recuperare?
Se quello del costo dell'energia è un problema europeo, in Italia il suo impatto è addirittura superiore, come conferma il dato dei prezzi dell’elettricità all’ingrosso che sono stati in media superiori dell’87% rispetto alla Francia, del 70% rispetto alla Spagna, del 38% rispetto alla Germania.
Per uscire da questa fase delicata occorrerebbe meno burocrazia. Ma Come arrivarci se l’Ue ha imposto negli ultimi 25 anni regole "troppe e troppo frammentate e che spesso penalizzano l’iniziativa individuale, scoraggiano lo sviluppo dell’innovazione, penalizzano la crescita dell’economia"?
Per poi alla fine avere la conseguenza che "la difesa del mercato unico è divenuta sempre più rara''.
Infine l'intelligenza artificiale che, per Draghi, vede per l’Europa ''un ritardo probabilmente incolmabile''. Per questo ha lanciato un appello affinché industria, servizi e infrastrutture si impegnino a svilupparla.
Che poi Draghi abbia chiuso forse in anticipo la sua relazione, vedendo che l'interesse dagli astanti era andata scemando, conferma che puoi dire le cose più importanti, a patto di finire in tempo per andare a pranzare.