Esteri

Cuccioli di leone da coccolare al ristorante? Il caso cinese accende il dibattito sugli animal pet

Barbara Leone
 
Cuccioli di leone da coccolare al ristorante? Il caso cinese accende il dibattito sugli animal pet

In Cina, l’ora del tè si è trasformata in un caso internazionale. Nella provincia dello Shanxi, un ristorante di lusso chiamato Wanhui ha lanciato un’esperienza a dir poco bizzarra e che ha rapidamente fatto il giro del mondo: un tea time da 150 dollari che, oltre alle portate gourmet, offre agli ospiti la possibilità di coccolare cuccioli di leone.

Cuccioli di leone da coccolare al ristorante? Il caso cinese accende il dibattito sugli animal pet

Un’idea che ha scatenato un’ondata di polemiche, tanto sui social cinesi quanto a livello globale, come riportato dalla CNN. Sulle piattaforme social come Weibo e WeChat si rincorrono immagini e video di clienti che cullano i piccoli felini come bambolotti, mentre sul profilo Douyin del locale (la versione cinese di TikTok) appaiono altri animali come lama, cervi e tartarughe.

Il Wanhui, aperto da appena un mese a Taiyuan, vende una ventina di ingressi al giorno: un business evidentemente fiorente, ma non senza conseguenze. Secondo quanto riportato dallo Shanghai Daily, giornale statale cinese, “l’esperienza ha sollevato serie preoccupazioni riguardo la legalità e il benessere animale”. E non c’è solo lo scandalo del momento: poche settimane prima, sempre in Cina, era finito sotto inchiesta un hotel nella regione di Chongqing per aver ideato un servizio sveglia “animato” con panda rossi che salivano sui letti degli ospiti. In molti gridano allo scandalo. “Un divertimento per ricchi”, ha scritto un utente.

“Una moda pericolosa, dannosa per gli animali”, aggiunge un altro. Ed è facile condividere il senso di disagio che provoca la vista di un leoncino strappato alla sua natura selvaggia per finire tra tovaglie ricamate e posate d’argento. Eppure, come spesso accade, non è tutto bianco o nero. Né tutto così nuovo.

In realtà, il ristorante Wanhui, per quanto eclatante nel suo accostare l’ora del tè a un safari domestico, non è il primo né l’unico a sfruttare il fascino degli animali in ambienti conviviali. Il fenomeno degli “animal cafè” – luoghi in cui si consumano cibo e bevande in compagnia di animali – ha origini lontane.

Il primo esperimento risale a Taiwan, nel 1998, ma è in Giappone che il format è decollato: nel 2004, a Osaka, nasce il primo Neko Cafè, dedicato ai gatti.
Da lì, una progressiva espansione ha portato alla nascita di locali sempre più originali: Rabbit Cafè con conigli, Raccoon Cafè con procioni, Reptile Cafè con serpenti e iguane, fino ai recentissimi Mipig Cafè, dove a rubare la scena sono maialini domestici, in Giappone ormai vere celebrità. Quanto al benessere animale, in molti casi questi locali lo promuovono attraverso regole rigorose: divieto di dare cibo non autorizzato, niente flash nelle foto, orari di “lavoro” limitati per gli animali (in Giappone, per esempio, non più di sei ore al giorno), controllo dei comportamenti dei clienti e multe salate per chi esagera con effusioni o invadenze.

C’è da dire che in Asia la diffusione di questi locali ha molto a che vedere con la struttura sociale di Paesi ove la solitudine urbana, i ritmi di lavoro estenuanti e i tassi di suicidio elevati. In questo scenario, gli animal bar rispondono al bisogno di calore, contatto, affetto. “Mi fanno sentire amata, dopo una giornata faticosa”, racconta una ragazza giapponese che lavora nella metropolitana di Tokyo. In molti, negli studi sociologici, vedono in questi luoghi una sorta di terapia soft per le anime urbane affaticate.

Nel Vecchio Continente, gli animal cafè sono arrivati più tardi, ma con una vocazione culturale più marcata. La prima apertura europea si registra a Vienna nel 2012, seguita da Parigi, Madrid, e infine l’Italia, con il MiaGola Caffè di Torino nel 2014.

Qui, l’idea di fondo è meno legata alla compensazione emotiva e più all’inclusione e alla sensibilizzazione. In Italia, la cultura animalista ha spesso trovato alleati in questi spazi: molti cafè si associano a cucine vegetariane o vegane, collaborano con rifugi, promuovono l’adozione e mettono al centro il rispetto dell’animale. Il risultato è una visione meno spettacolare e più educativa, meno intrattenimento e più empatia. È la cultura del rispetto, più che il culto del vezzo. Tornando al ristorante cinese con i cuccioli di leone, è giusto che ci si scandalizzi. È giusto chiedersi se sia etico trasformare creature selvatiche in oggetti di intrattenimento. Ma se l’indignazione si risveglia solo davanti a un leone – e tace su iguane, procioni, serpenti o ricci – allora qualcosa non torna.

Perché il benessere animale è una questione universale, non selettiva. Non vale solo per gli animali esotici e fotogenici. La sofferenza non fa rumore solo se ha la criniera. Un coniglio stressato da continue carezze indesiderate in un rabbit cafè non vale meno di un cucciolo di leone allattato con un biberon messo in bella mostra su Instagram. E se ci preoccupiamo di dove sono finiti questi leoncini, dovremmo anche domandarci da dove arrivano i rettili nei bar della Cambogia o i procioni a Seul. Serve dunque una riflessione più ampia, che abbracci l’intero concetto di “pet economy” e non solo gli eccessi più virali.

Serve, soprattutto, una consapevolezza che metta l’animale al centro, e non il nostro desiderio di compagnia. Forse la vera sfida è un’altra: imparare a vivere con gli animali, non a usarli. Passare da un'idea antropocentrica e strumentale a una relazione basata sul reciproco rispetto. Perché sì: possiamo volerci bene, accarezzarci, persino consolarci a vicenda. Ma ogni contatto deve nascere dal consenso, dal rispetto dei bisogni e della natura dell’altro.

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