Ambiente

Biodiversità: una sfida epocale

Barbara Leone
 
Biodiversità: una sfida epocale

Il nostro pianeta si trova di fronte a un bivio cruciale, avvicinandosi a soglie critiche oltre le quali il ritorno allo stato originario potrebbe rivelarsi impossibile. Secondo l'ultimo rapporto del WWF, i prossimi anni saranno decisivi per determinare il futuro dell'umanità e della Terra stessa.

Biodiversità: una sfida epocale

Mentre la crisi climatica e quella della biodiversità avanzano con impietosa inesorabilità, i numeri delineano un quadro allarmante: dal 1970, un monitoraggio condotto su 35.000 popolazioni appartenenti a 5.495 specie di vertebrati ha rivelato una riduzione media del 73% della loro dimensione globale. A subire la contrazione più drammatica sono stati gli ecosistemi d'acqua dolce, che hanno registrato un calo dell'85%, seguiti dagli ecosistemi terrestri (-69%) e marini (-56%). Le principali cause di questa devastazione risiedono nel nostro sistema alimentare e nel cambiamento climatico, che in alcune aree del mondo si configura come la minaccia più pressante. Nei Caraibi e in America Latina, la popolazione dei vertebrati si è ridotta del 95%, segnando una perdita quasi irreversibile della biodiversità.

Dati che impongono una riflessione sulla pericolosa prossimità al cosiddetto “tipping point”, il punto di non ritorno oltre il quale un ecosistema subisce trasformazioni irreversibili, compromettendo la propria capacità di rigenerazione. La foresta amazzonica e le barriere coralline rappresentano due esempi emblematici di questa fragile condizione: la loro progressiva scomparsa priva l'umanità di risorse vitali, minacciando la sicurezza alimentare e l'equilibrio ecologico.

Di fronte a tale emergenza, le Nazioni Unite nel corso di un recente summit svoltosi a Roma hanno concordato un piano di finanziamento volto a invertire il declino della natura. Dopo le profonde divisioni che avevano portato al fallimento dei negoziati in Colombia lo scorso anno, si è così finalmente raggiunto un accordo che prevede la mobilitazione di 200 miliardi di dollari entro il 2030 a favore della biodiversità.

Del resto, l'attuale tasso di declino delle specie è talmente elevato da far temere a molti scienziati che l'umanità stia innescando la “sesta estinzione di massa”: negli ultimi cinquant'anni, infatti, l'accelerazione della perdita di specie è stata esponenziale con flora e fauna che lottano per la sopravvivenza in un ambiente sempre più ostile, modellato dall'intervento umano e dai cambiamenti climatici.

Vero è che nel 2022 la comunità internazionale aveva siglato un accordo storico per arrestare la perdita di biodiversità, impegnandosi a proteggere il 30% delle terre e dei mari del pianeta. Tuttavia, nonostante l'obiettivo di raccogliere 200 miliardi di dollari all'anno entro il 2030, i dati dell'OCSE rivelano che finora sono stati stanziati soltanto 15 miliardi. La COP16 avrebbe dovuto tracciare una strategia per colmare questa lacuna finanziaria, ma i negoziati si sono arenati a causa della mancanza di un accordo condiviso.

Così la recente conferenza di Roma ha finalmente portato alla stipula di un'intesa che prevede misure concrete, tra cui l'invito ai Paesi a definire strategie di finanziamento nazionali, l'impegno a istituire un fondo permanente per la natura e la destinazione di risorse ai gruppi indigeni, custodi di preziosi ecosistemi. Molti osservatori internazionali hanno accolto questo accordo come un segnale positivo di cooperazione globale, nonostante l'assenza di alcuni Paesi chiave, tra cui gli Stati Uniti.

Le associazioni ambientaliste hanno espresso una soddisfazione cauta, sottolineando però la necessità di tradurre gli impegni in azioni concrete. “Sebbene questo sia un momento da celebrare, è fondamentale che a queste decisioni seguano azioni immediate e innovative”, ha evidenziato Jill Hepp, responsabile delle politiche sulla biodiversità presso Conservation International.

Senza dimenticare l'interconnessione tra biodiversità ed economia, che è ormai un dato di fatto: si stima infatti che oltre la metà del PIL mondiale dipenda dalla natura e che fino a 4 miliardi di persone si affidino alle risorse oceaniche e forestali per la loro sopravvivenza. Nonostante la firma dell'accordo, molti Paesi non hanno ancora presentato piani dettagliati per contrastare la perdita di biodiversità, sebbene la scadenza per farlo fosse fissata già per lo scorso anno.

Il Regno Unito ha finalmente reso noto il proprio piano solo recentemente, mentre il Joint Nature Conservation Committee (JNCC) ha stimato che solo il 6,5% del territorio britannico sia effettivamente protetto. Di fronte a questi dati, appare chiaro che la battaglia per la salvaguardia della biodiversità non si esaurisce con dichiarazioni d'intenti. Occorre un impegno concreto e immediato per vincere quella che è a tutti gli effetti una sfida epocale, e scongiurare un futuro in cui gli ecosistemi saranno irrimediabilmente compromessi.

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