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Donne e automotive: settore poco attrattivo, inclusione a rilento

 

Il settore automobilistico fatica ancora ad attrarre le donne, soprattutto a causa delle difficoltà di conciliazione tra vita privata e lavoro e delle limitate opportunità di crescita professionale. Nonostante i progressi compiuti dalle aziende in tema di parità di genere, la strada da percorrere è ancora lunga. E la situazione non migliora se si guarda all'inserimento lavorativo delle categorie protette.

Donne e automotive: settore poco attrattivo, inclusione a rilento

Solo in Lombardia, mancano all'appello oltre 16.000 lavoratori con disabilità. Troppo spesso, le aziende preferiscono pagare sanzioni piuttosto che rispettare gli obblighi di legge. Questi i principali temi emersi durante la quarta edizione del Pink Motor Day, l'evento organizzato a Milano da LabSumo, spin-off della casa editrice Sumo Publishing.

L'iniziativa, che ha ricevuto il patrocinio del Comune di Milano, delle associazioni ANIASA e UNRAE e del Centro Studi Valore D, si è ampliata nel 2025 ai temi di diversity&inclusion con l’obiettivo di è esplorare come il settore della mobilità aziendale possa rispondere alle esigenze di tutti, garantendo pari opportunità e accesso a servizi di trasporto, business travel e noleggio.

In apertura di dibattito sono stati illustrati dall’agenzia del lavoro Gi Group Holding alcuni numeri sul gender gap femminile nel settore automotive. Secondo uno studio internazionale effettuato in 11 Paesi tra cui l’Italia, le donne considerano l’industria delle quattro ruote poco attrattiva, solo il 7,7% infatti la valuta come il miglior settore in cui lavorare, 3 punti percentuali in meno rispetto al 10% fatto registrare dal campione complessivo, composto anche da uomini. Nonostante ciò, il 52% delle donne che lavorano nel comparto la trova interessante.

Ma cosa dell’automotive non piace a quante ci lavorano? Le donne impiegate indicano al primo posto la difficoltà di conciliazione di vita-lavoro (segnalata dal 45% del campione), seguita dagli alti livelli di competizione e pressione lavorativa (44,7%), dalle opportunità limitate di crescita professionale (42,9%) e dalla scarsa retribuzione (41,7%). Per metà delle intervistate italiane (48%) la scarsa visibilità data a leader femminili in questo comparto rafforza i bias connessi al settore. Una percezione parzialmente smentita da quanto dichiarato dalle lavoratrici in merito al cambiamento in atto in molte aziende: l’82% dichiara che la propria azienda sta adottando misure per incentivare la parità di genere.

“Il settore automotive è tradizionalmente un settore maschile sia nella clientela che negli addetti ai lavori. La nostra survey a livello globale ci restituisce però tra gli elementi di valore percepiti dalle donne che lavorano nel settore: la presenza di reale formazione continua, la possibilità di trasferte internazionali, il prestigio delle aziende ospitanti, la dinamicità e le tecnologie avanzate. Resta quindi aperta la sfida per l’Automotive di migliorare l’immagine di sé e riuscire, con strutturati cambi organizzativi, a ridurre condizioni di lavoro faticose, garantire una parità di trattamento salariale e puntare al work life balance necessario per le figure femminili così come per le figure maschili.”, ha commentato Cristina Reduzzi – Division Manager Manifacturing & Industry 4.0 di Gi Group.

Dagli interventi delle manager, imprenditrici e giornaliste registrati nel corso dell’evento è emersa la necessità per le aziende automotive e del settore della mobilità di puntare su parità di genere e maggiore inclusione, non solo per una questione etica, ma per migliorare la propria competitività. I dati relativi all’inclusione dimostrano infatti che i margini di miglioramento restano ancora elevati nel nostro Paese, in cui i lavoratori appartenenti alle categorie protette non sono ancora considerati “appetibili” dalle aziende.

Troppo spesso gli obblighi previsti per legge (1 lavoratore disabile assunto se l’impresa ha tra i 15 e i 35 dipendenti e il 7% se l’impresa ne ha più di 50) non vengono rispettati. Piuttosto le aziende preferiscono pagare le sanzioni e così, secondo i dati della UIL Milano e Lombardia, in Lombardia sono disponibili 23.108 posti di lavoro in categorie protette, ma i lavoratori assunti sono solo 7.200. Mancano all’appello quindi quasi 16.000 lavoratori con disabilità che, contravvenendo agli obblighi di legge, non vengono selezionati dalle aziende. L’esatto contrario di quanto avviene in Pizzaut, il ristorante gestito da giovani autistici che trasforma l’inclusione in un’opportunità concreta di lavoro e autonomia.

Ideatore dell’iniziativa è Nico Acampora, educatore, attivista, pioniere dell’inclusione lavorativa che nel corso dell’evento ha evidenziato come: “Investire in inclusione vuol dire investire in qualità della vita dell’azienda e dei lavoratori. Chi non investe in inclusione è solo una persona normale”.

Sul tema, con altri dati significativi è intervenuta anche Melissa Crespi – Centro Studi Valore D: “L'inclusione non è un semplice concetto, ma la chiave per liberare il potenziale unico di ogni persona. Insieme alle aziende lavoriamo per creare ambienti in cui ciascuno si senta valorizzato. I dati parlano chiaro: le aziende che investono nell'inclusione hanno il 39% di probabilità in più di superare i propri competitor. Puntare su equità, innovazione e sostenibilità sociale significa accelerare un cambiamento culturale per costruire, insieme, un futuro del lavoro inclusivo”.
L’evento, su invito, è promosso anche grazie alle aziende partner Athlon, BWH Hotels Italia & Malta, CarClinic, Fleet Support, Fratelli Giacomel, Lexus, LKQ RHIAG, W Planet.

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