Con la morte di Papa Francesco, il mondo ha perso non soltanto il successore di Pietro, ma una delle voci più lucide, accorate e profetiche in materia di giustizia ambientale e sociale. Il pontefice argentino ha fatto della tutela del Creato un pilastro portante del suo pontificato, ponendo l’ecologia integrale al centro del pensiero etico e spirituale della Chiesa cattolica.
Amazzonia: le contraddizioni dell’agribusiness nel polmone del mondo
Emblema di questa visione è l’enciclica ''Laudato si' '', pubblicata nel 2015, nella quale Bergoglio ha elevato la cura dell’ambiente a imperativo morale universale, oltre ogni logica di convenienza politica o calcolo economico.
La sua è stata una rivoluzione silenziosa, ma potente, che non ha avuto luogo nei salotti del potere, bensì nei suoi accorati appelli alla giustizia climatica, nella scelta di farsi portavoce degli ultimi della Terra: i migranti ambientali costretti ad abbandonare terre rese inospitali dalla siccità, le popolazioni indigene dell’Amazzonia espropriate dei loro territori ancestrali, la natura stessa, invocata come sorella oltraggiata e madre ferita.
Un monito, quello di Papa Francesco, che risuona oggi con inquietante attualità alla luce di un’inchiesta del quotidiano The Guardian, condotta in collaborazione con Unearthed e Repórter Brasil, che ha svelato le profonde contraddizioni ancora presenti nel rapporto tra industria agroalimentare e tutela della biodiversità.
L’indagine si è concentrata sull’attività di JBS, colosso brasiliano della carne e primo esportatore mondiale di prodotti bovini, il quale aveva promesso di eliminare entro il 2025 ogni forma di deforestazione dalla propria catena di approvvigionamento.
Tuttavia, le testimonianze raccolte da giornalisti e attivisti in varie regioni dell’Amazzonia brasiliana – in particolare negli Stati di Pará e Rondônia – indicano che tale obiettivo appare, nella pratica, difficilmente realizzabile. Oltre 35 tra allevatori, leader sindacali e operatori del settore hanno espresso scetticismo rispetto alla possibilità che il sistema di tracciabilità degli animali sia effettivamente implementato entro i tempi previsti.
"Dicono che verrà implementato. Direi subito: è impossibile", ha dichiarato un allevatore intervistato da The Guardian. Il principale ostacolo è costituito dalla diffusione di pratiche elusive, come il "riciclaggio del bestiame", che consente di occultare l’origine illecita degli animali trasferendoli da allevamenti illegali a fattorie formalmente regolari.
Inoltre, la mancanza di una chiara definizione dei diritti di proprietà fondiaria in molte aree dell’Amazzonia rende ardua qualsiasi forma di controllo ambientale efficace. "Se non si sa chi possiede la terra, non si può parlare di regolarità ambientale", ha affermato Cristina Malcher, presidente della Commissione delle Donne nell’Agribusiness.
Una constatazione che evidenzia l’inadeguatezza degli strumenti normativi e tecnici attualmente a disposizione.
JBS, da parte sua, ha respinto ogni accusa, rivendicando gli sforzi compiuti per migliorare la trasparenza e la sostenibilità della propria filiera e dicendo che l'azienda "dispone di una serie approfondita e solida di politiche, sistemi e investimenti integrati che stanno avendo un impatto concreto e positivo sulla riduzione dei rischi di deforestazione”. La società ha inoltre criticato l’inchiesta, affermando che “trarre inferenze da un campione limitato di 30 agricoltori, ignorando che JBS ha oltre 40.000 fornitori registrati, è del tutto irresponsabile”.
Nel tentativo di rafforzare il proprio sistema di controllo, JBS ha avviato una serie di iniziative, tra cui l’istituzione di "uffici verdi" per assistere gli allevatori nel processo di regolarizzazione e la collaborazione con il governo del Pará per l’identificazione elettronica di circa 26 milioni di capi di bestiame entro il 2026.
Tuttavia, secondo quanto riferito dagli allevatori, tali misure risultano ancora insufficienti e prive di un adeguato supporto finanziario. "Stiamo ancora mobilitando risorse per finanziare questa politica, che è molto importante per noi presentare agli allevatori", ha dichiarato il governatore Helder Barbalho. Nel frattempo, si intensificano le pressioni internazionali.
La procuratrice generale dello Stato di New York, Letitia James, ha intentato una causa contro JBS, accusandola di avere diffuso dichiarazioni fuorvianti sui propri impegni climatici. Inoltre, quindici senatori statunitensi hanno inviato una lettera alla Securities and Exchange Commission (SEC) per chiedere il blocco della quotazione in Borsa della società, affermando che ''decine di rapporti giornalistici e di ONG hanno dimostrato che JBS è collegata a una maggiore distruzione di foreste e altri ecosistemi rispetto a qualsiasi altra azienda in Brasile".
La replica dell’azienda non si è fatta attendere: “Collaboriamo con agricoltori, allevatori e partner del sistema alimentare per sviluppare soluzioni sostenibili”, ha dichiarato un portavoce, precisando che “un’unica azienda non può risolvere da sola tutte le sfide del settore”.
In questo contesto, il pensiero non può che tornare alle parole di Francesco: “Rinnova la faccia della Terra”, invocava, rivolgendosi all’umanità intera con un appello alla responsabilità collettiva e alla cura del mondo che abitiamo.
Parole che risuonano oggi con particolare forza di fronte alla devastazione della foresta amazzonica, simbolo cruciale della biodiversità globale, la cui distruzione rappresenta una ferita profonda non solo per l’ambiente, ma per l’intero equilibrio della vita sul pianeta.