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Rapporto CSC: PIL a +0,8% nel 2024 e +0,9% nel 2025

 
È stato presentato, presso la Camera dei Deputati, il Rapporto di Previsione dell’autunno 2024 del Centro Studi Confindustria “I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e PNRR”.

Secondo il Rapporto, la crescita del PIL in Italia, a seguito della revisione Istat, si attesta a +0,8% quest’anno e 0,9% il prossimo, in linea con la stima del Governo a legislazione vigente. E’ sostanzialmente in linea anche con la crescita dell’Eurozona, nonostante una politica monetaria più restrittiva in Italia, il Paese che registra l’inflazione più bassa d’Europa (allo 0,7% annuo a settembre, 1,7% nell’Eurozona).

L’economia mondiale è in risalita ma l’Europa è debole, continua a crescere meno degli altri player mondiali (ancora stretta da tassi alti) e perde investimenti diretti esteri. Pesano il crollo dell’automotive e le difficoltà della Germania. Continua il decoupling Cina-Occidente: calano gli acquisti incrociati, mentre crescono quelli USA-UE. La Cina non è più volano dell’export europeo e statunitense.  

Le tensioni geopolitiche sono in aumento e questo accresce la possibilità di ripercussioni negative su commercio mondiale e prezzi delle materie prime. Rimane alto il costo dei noli. Aumentano le barriere protezionistiche e le elezioni presidenziali in USA acuiscono l’incertezza.

Il reddito disponibile è in crescita ma i consumi sono frenati dall’elevato tasso di risparmio. Nel biennio, tuttavia, scenderà grazie anche al taglio dei tassi, e questa dinamica favorirà la ripresa dei consumi.

Prosegue il recupero delle retribuzioni reali soprattutto nel settore privato, con l’industria che vede il recupero più ampio e avanzato. Il meccanismo di adeguamento dei minimi tabellari ha favorito un recupero dell’inflazione più veloce rispetto agli altri paesi europei. Calano le ore lavorate pro capite e recupera in misura modesta la produttività soprattutto nell’industria. Il numero di occupati continua a crescere in linea con il PIL.

Gli investimenti si fermano quest’anno, tornano ai livelli del 2008 e sono solo parzialmente compensati da quelli previsti dal PNRR. La discesa prosegue anche nel 2025, soprattutto quelli relativi alle abitazioni. Transizione 5.0 da semplificare perché sia efficace.

PNRR cruciale per la crescita. L’Italia è più avanti degli altri nell’attuazione del Piano ma dobbiamo correre. Quest’anno abbiamo speso poco (9,5 miliardi su 44).

L’export al netto dell’import è il principale traino di crescita quest’anno. Nonostante la debole domanda europea (che rappresenta il 52% dell’export italiano) e in particolare tedesca (principale partner commerciale), l’export italiano continua ad andare meglio della domanda potenziale (media ponderata dell’import totale dei paesi di destinazione). Questo perché le PMI hanno accresciuto la produttività più delle omologhe tedesche e francesi ed è aumentato il numero delle imprese esportatrici (oltre che la quota di imprese di media e grande dimensione) e l’export medio per impresa in tutte le classi dimensionali.

I servizi spingono la crescita italiana. Nelle costruzioni prevarrà la dinamica negativa dell’edilizia residenziale a causa della fine degli incentivi quest’anno e diminuirà ancora di più nel 2025. Ancora male l’industria in attesa che riprenda, lentamente, la domanda interna ed estera di beni. Molto eterogenee le performance settoriali.

Il declino demografico accrescerà la carenza di lavoratori che già oggi è un problema: tra 5 anni la domanda supererà l’offerta di lavoro di ulteriori 1,3 milioni di unità. È cruciale intervenire per coprire questo fabbisogno.

Costi degli alloggi troppo elevati frenano la mobilità dei lavoratori ed esasperano le carenze di personale a livello territoriale.

Il crollo del settore dell’auto, che quest’anno è tornato al livello di produzione di inizio 2013, è la conseguenza dei costi elevati delle auto elettriche. Data la rilevanza di questo comparto nell’economia, rappresenta un rischio per la crescita italiana ed europea, sia a breve che a medio-lungo periodo.

Con il sistema ETS sempre più stringente e il CBAM operativo, le imprese europee continuano a perdere competitività. E anzi, crescono i rischi che alcune di queste - che rappresentano il 9% del valore aggiunto manifatturiero in Italia come in UE - chiudano o vengano trasferite fuori dall’UE.
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