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Pharus: Oltre la Paura: Cosa Dice Davvero l’S&P 500

 
Pharus: Oltre la Paura: Cosa Dice Davvero l’S&P 500
Anche questa settimana facciamo il punto su ciò che sta guidando le dinamiche dei mercati finanziari globali, con particolare attenzione al tema che ha monopolizzato l’attenzione degli investitori, ovvero le tariffe commerciali imposte dall’amministrazione Trump ed in particolare le implicazioni per la FED chiamata in settimana alla decisione sui tassi.

Partiamo dalla Fed che per la terza riunione consecutiva ha deciso di lasciare invariati i tassi, una decisione dettata da prudenza, in un contesto sempre più incerto. Il presidente Powell ha ribadito che l’impatto economico dei dazi è ancora difficile da quantificare e che Il sentiment, sia delle imprese che dei consumatori, si è indebolito, ma per il momento i dati dell’economia reale tengono. Tuttavia, Powell durante la conferenza stampa ha messo in guardia il mercato su una prospettiva di stagflazione che si potrebbe fare più concreta, affermando che “Se i forti aumenti dei dazi saranno sostenuti, è probabile che generino un aumento dell’inflazione, un rallentamento della crescita e un incremento della disoccupazione”. Sono ad oggi 3 i tagli dei tassi impliciti stimati dal mercato per il 2025. 
 
Ma a portare ottimismo sui mercati abbiamo una nuova narrativa dove si inizia a parlare di accordi commerciali e non più di guerre commerciali. Il presidente Trump è sotto pressione per dichiarare vittoria nelle sue guerre commerciali e scongiurare una recessione che potrebbe costare ai repubblicani il controllo del Congresso nel 2026, intanto, affronta sfide legali sulla legittimità dei suoi dazi e nel caso in cui i tribunali stabiliscano che i dazi di Trump sono incostituzionali, chiudendoli entro breve potrebbe comunque uscirne vincitore dichiarare di aver vinto le guerre commerciali. Gli investitori sono stati felici di apprendere che i funzionari americani e cinesi si stanno incontrando per parlare di un accordo commerciale che per ora ha portato alla riduzione delle tariffe al 30% verso la Cina per 90 giorni, dai 145% attuali, e sono felici della chiusura del primo accordo commerciale con UK. La negoziazione di tutti i futuri trattati commerciali e la loro attuazione non possono essere fatte in 90 giorni, presumibilmente arriveremo forse oltre l’estate, ma non è da escludere che presto i mercati si stancheranno quasi di sentire le dichiarazioni di Vittoria di Trump sulla chiusura di dazi.

Nelle ultime settimane, il dibattito su una potenziale recessione negli Stati Uniti è tornato al centro dell’attenzione. 

Eppure, se osserviamo i mercati, sembrano raccontare una storia molto diversa. L'S&P 500 ha registrato un rally del +18% dai minimi di aprile, mentre le aziende continuano a riportare utili migliori delle attese e il tasso di disoccupazione rimane storicamente basso. Ma cosa ci dice davvero tutto questo?

Uno degli aspetti più controintuitivi – ma fondamentali da capire per ogni investitore – è che i mercati azionari tendono a muoversi prima dell’economia. Sono da questo punto di vista dei “leading indicators”, che anticipano gli eventi economici. Questo significa che spesso i mercati iniziano a risalire ben prima che una recessione venga ufficialmente dichiarata conclusa.

Se guardiamo alle ultime recessioni riconosciute ufficialmente dal National Bureau of Economic Research (NBER) ovvero l’ente che certifica i cicli economici negli USA, in media l’S&P 500 era già salito di oltre il 60% al momento in cui la recessione veniva dichiarata “terminata”. 

Molti credono che due trimestri consecutivi di crescita negativa del prodotto interno lordo (PIL) indichino che l'economia sia in recessione, ma non è necessariamente così. L'inizio e la fine di una recessione sono determinati dal National Bureau of Economic Research, che considera una varietà di indicatori, non solo il PIL. Ad esempio, è stata dichiarata la recessione del 2020 da febbraio ad aprile di quell'anno, un periodo che non coincide con due trimestri interi di PIL. Inoltre storicamente, il National Bureau non ha annunciato l'inizio o la fine delle recessioni fino a diversi mesi dopo. Ad esempio, non ha annunciato la recessione del 2020, iniziata a febbraio 2020, fino a giugno dello stesso anno e quando ha comunicato la fine della recessione post-COVID, il mercato era già salito del 94%!

A tal proposito è molto famosa la citazione di Warren Buffet “Se aspetti i pettirossi, la primavera sarà già finita” Il pettirosso è un simbolo classico della primavera, ovvero di un miglioramento delle condizioni. Buffett dice che, se aspetti i segnali evidenti che la crisi è finita (i “pettirossi”), quando li vedrai sarà troppo tardi per investire: i prezzi saranno già saliti e le opportunità più ghiotte saranno svanite. Quando Buffet scrisse questa frase in un editoriale del New York Times era l’ottobre del 2008, ovvero nel pieno cuore della grande crisi finanziaria globale e l’S&P500 era già sceso del 50%, il panico era diffuso e molti investitori stavano ancora uscendo dal mercato, ma la lezione di Buffet era chiara: Anche se la paura e l’incertezza è dominante io sto comprando. Aspettare la "chiarezza" è spesso una strategia perdente. Quando i dati sono positivi e il clima è ottimista, il mercato ha già reagito, e le statistiche lo dimostrano.

Anche nell’attuale contesto di mercato, c’è una buona parte di mercato, diversi settori e titoli che hanno di fatto già vissuto una recessione di utili, i cui prezzi già quindi oggi incorporano uno scenario di rallentamento, dove le aspettative sono oggi molto basse ed è facile sorprendere a rialzo nei trimestri successivi.

Durante periodi di recessione, la diversificazione torna a essere cruciale. Asset come le obbligazioni hanno storicamente offerto una copertura parziale contro il crollo dei mercati azionari.  Il mercato obbligazionario statunitense è in calo da 57 mesi, il periodo di gran lunga più lungo della storia, un dato interessante da leggere in ottica contrarian e di protezione del portafoglio. 

E oggi più che mai, dopo anni di sottoperformance delle asset class internazionali, valutare un’esposizione globale può ridurre il rischio complessivo del portafoglio, con l’area europea ed anche Cinese ancora molto a sconto rispetto all’America.
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