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Ottimismo sui mercati: trainano emergenti e tecnologia, ma l’inflazione è ancora un rischio
A cura della Strategy Unit di Pictet Asset Management

Ancora una volta sui mercati sembra ripresentarsi uno scenario "Goldilocks". Gli investitori sono sempre meno preoccupati per il rallentamento dell'economia statunitense, mentre l'indebolimento dei dati sull'occupazione è una giustificazione sufficiente perchè la Fed tagli i tassi d'interesse. Allo stesso tempo, a giudicare dai sondaggi sul sentiment, l'inflazione appare una preoccupazione meno urgente.
Nonostante le valutazioni poco interessanti ci portino a restare neutrali su azioni, obbligazioni e liquidità, vediamo numerose opportunità di investimento tattico tra i mercati azionari regionali, i settori e le asset class a reddito fisso. I livelli a cui scambiano i mercati azionari suggeriscono che i rischi per la crescita o di ulteriori shock politici negativi sono più che compensati dai forti utili societari. Sicuramente, l'ottimismo dei mercati sugli utili è stato sostenuto da trimestrali solide, ma le azioni appaiono costose e c'è poco margine per le delusioni in caso di impatto negativo ritardato derivante dai dazi imposti dal Presidente USA. Sebbene gli investitori obbligazionari abbiano tenuto conto di alcuni rischi di ribasso legati agli attacchi anti-Fed di Trump, con i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine che sono saliti e hanno reso più ripida la curva dei rendimenti, crediamo che non abbiano però adeguatamente considerato la prospettiva di una ripresa dell'inflazione nel breve termine.
Nel complesso, il nostro indicatore dell'attività commerciale globale è diventato positivo. Le prospettive per l'economia statunitense sono migliorate: i rischi di stagflazione rimangono, ma la crescita si sta dimostrando relativamente resiliente, mentre l'impatto dei dazi sull'inflazione probabilmente si protrarrà oltre le nostre aspettative. Il rallentamento dei consumi privati e gli scarsi investimenti nel residenziale continuano a destare preoccupazioni.
Allo stesso tempo, vediamo anche segnali positivi dall'eurozona: gli indicatori del sentiment sono migliorati e la domanda interna è destinata a riprendersi, in quanto i consumatori sono propensi a spendere i risparmi in eccesso. Nel lungo termine, la crescita sarà ulteriormente sostenuta dalla decisione della Germania di aumentare la spesa pubblica.
Per il resto, le prospettive economiche del Giappone sono ambigue, con una crescita sostenuta da forti esportazioni, mentre la domanda interna rimane contenuta. L'aumento dell'incertezza politica, con le dimissioni del Primo Ministro, getta ombre sull'economia del Paese, poiché è probabile che limiterà gli stimoli fiscali e la riforma strutturale. L'economia cinese, nel frattempo, ha subito un calo significativo durante l'estate, a seguito del crollo delle esportazioni verso gli Stati Uniti.
Passando alla politica monetaria, dopo la riduzione di settembre ci aspettiamo che la Fed taglierà nuovamente i tassi durante le riunioni di dicembre e marzo 2026 e, di conseguenza, i nostri indicatori di liquidità rimangono positivi per le asset class più rischiose. Per il momento, i tagli previsti dalla Fed sembrano legittimati dai recenti dati sull'occupazione, che giustificano uno spostamento del focus dalla lotta all'inflazione alla protezione della crescita. Tuttavia, se una Fed influenzata da Trump dovesse continuare a tagliare i tassi per ragioni politiche (in particolare in un contesto di massicci deficit fiscali e di stimolo alla crescita del credito dovuto a una deregolamentazione bancaria), il mercato probabilmente inizierebbe a preoccuparsi per l'inflazione fuori controllo. Nel frattempo, la Cina sta finalmente affrontando la riduzione della leva finanziaria e le pressioni deflazionistiche: la banca centrale sta allentando la sua posizione monetaria e il governo cerca in genere un coordinamento più ampio delle sue politiche. Per finire, il rallentamento dell'inflazione dei servizi in Giappone fa sì che non ci sia alcuna pressione particolare sulla Bank of Japan ad accelerare gli aumenti dei tassi d’interesse.
I nostri indicatori di valutazione mostrano che obbligazioni ed azioni rimangono costose. Sebbene le azioni dell'eurozona e quelle giapponesi fossero estremamente convenienti solo poco tempo fa, ora sembrano esserlo di meno. Le azioni, tuttavia, sono state sostenute da un rimbalzo marcato degli utili statunitensi guidato dai titoli tech, uno dei maggiori al di fuori dei periodi di recessione. Tuttavia, date le valutazioni molto costose, prevediamo una contrazione dell'8% dei multipli prezzo/utile delle azioni globali nei prossimi 12 mesi. I titoli di qualità, che hanno sottoperformato negli ultimi 18 mesi in parte perché troppo scambiati quando gli investitori erano preoccupati per le prospettive globali, iniziano nuovamente ad apparire interessanti. Nel reddito fisso, le obbligazioni indicizzate all'inflazione appaiono interessanti, così come i gilt.
I nostri indicatori tecnici rimangono positivi per le azioni, sostenuti dall'allargamento del rally di mercato del settore tecnologico. Nonostante i forti guadagni del mercato statunitense negli ultimi mesi, il sentiment complessivo degli investitori e gli indicatori di posizionamento azionario non sono a livelli estremamente rialzisti. L'unica ovvia eccezione è rappresentata dalle azioni giapponesi, che sono ipercomprate, mentre le obbligazioni giapponesi e cinesi appaiono ipervendute.
Regioni e settori azionari: fiducia nelle azioni dei mercati emergenti
Anche nel mese di agosto le azioni hanno sovraperformato le obbligazioni, in quanto le aspettative di tagli dei tassi d'interesse da parte delle principali banche centrali e la forza dei titoli tecnologici statunitensi che cavalcano l'onda dell'IA hanno sollevato i mercati. In particolare, le azioni statunitensi hanno chiuso il mese con un rialzo di circa il 2%, mentre l’azionario giapponese ha toccato i massimi, poiché l'indebolimento dello yen ha risollevato i titoli delle case automobilistiche e di altri rivenditori con presenza globale.
Le azioni dei mercati emergenti rimangono però un punto di forza nei mercati globali. Si sono dimostrate resilienti di fronte ai dazi statunitensi, in quanto il forte consumo interno ha contribuito ad ammortizzare l'impatto dei danni causato al commercio. I Paesi emergenti hanno un vantaggio in termini di crescita del PIL di circa il 2% rispetto alle economie sviluppate, il maggiore dai primi anni 2000.
Riteniamo che le azioni dei mercati emergenti siano destinate ad offrire rendimenti interessanti nei prossimi mesi e prevediamo che le aziende con sede in queste economie registreranno una crescita degli utili superiore al 10% sia quest'anno che il prossimo, ben al di sopra rispetto alle loro controparti sviluppate. I titoli degli emergenti beneficiano anche di valutazioni interessanti: il loro rapporto P/E a termine si attesta in media attorno a 13, un valore ingiustificatamente inferiore del 33% a quello dei mercati sviluppati. Anche la prospettiva di un declino strutturale del dollaro è a loro vantaggio, in quanto migliora la competitività delle esportazioni e stimola i flussi di investimenti esteri.
Siamo ottimisti anche sulle azioni cinesi, sebbene l'economia abbia recentemente mostrato un rallentamento. Nonostante il crollo del 44% delle esportazioni verso gli Stati Uniti tra marzo e luglio, ricordiamo che queste rappresentano solo il 3% circa del PIL cinese e non sono più una fonte primaria di crescita. Pechino, inoltre, dispone di margini per sostenere ulteriormente l'economia con stimoli più coordinati. Le blue chip, ad esempio, hanno registrato un aumento di oltre il 10% solo nello scorso mese, poiché i piani del governo per aumentare la produzione di chip avanzati hanno alimentato le aspettative di un boom dell'IA domestica, sbloccando così i risparmi nazionali e canalizzando la liquidità guidata dagli incentivi verso i mercati azionari. Aiutati da un dollaro più debole, hanno fatto bene anche altri mercati emergenti. Le azioni latinoamericane hanno sovraperformato con un guadagno superiore al 6%, con la regione che ha beneficiato dalla domanda di materie prime, riflettendo i guadagni nel settore dei materiali.
Tenendo conto di ciò, manteniamo la nostra posizione di sovrappeso nei mercati emergenti.
Manteniamo, invece, una posizione neutrale sulle azioni USA: le previsioni degli analisti sugli utili societari statunitensi sono migliorate e hanno trainato la ripresa a V delle stime di utile a livello globale dal precedente calo innescato dallo shock del "Liberation day" ad aprile. Tuttavia, questo miglioramento non si è riflesso negli indicatori manifatturieri. Allo stesso tempo, il rally del mercato azionario americano sta portando le valutazioni a livelli elevati, senza lasciare cuscinetti per ammortizzare un'eventuale stagflazione indotta dai dazi. Il rapporto prezzo/utile del mercato oscilla in media intorno a 22, di nuovo ai massimi ciclici.
Cambiamento nelle previsioni degli utili societari (globali) degli analisti vs sentiment manifatturiero
A livello settoriale, i titoli di qualità (beni di prima necessità, prodotti farmaceutici) rappresentano un'interessante opportunità di investimento, poiché le loro valutazioni sono scese a livelli di fair value dopo aver sottoperformato per 18 mesi il mercato generale. Ai prezzi correnti, possono offrire una copertura efficace per gli investitori in un contesto di crescita economica moderata e di sviluppi imprevedibili della politica statunitense.
I titoli dei servizi di pubblica utilità, su cui siamo sovrappesati, offrono qualità difensive e beneficiano della crescita strutturale della domanda di elettricità. Guardiamo con favore anche il settore dei servizi di comunicazione: sebbene le valutazioni rimangano sfidanti, gli utili sono stabili. Anche l'investimento del settore nell'IA e nelle infrastrutture dati, stimato in circa 400 miliardi di dollari quest'anno, dovrebbe iniziare a dare i suoi frutti. Infine, i titoli finanziari dovrebbero beneficiare di una curva dei rendimenti più ripida e di una potenziale deregolamentazione da parte dell’amministrazione Trump. Per queste ragioni, sovraponderiamo il settore.
Reddito fisso e valute: troppo ottimismo sull'inflazione
A nostro avviso, i mercati obbligazionari stanno sottovalutando il rischio di inflazione, sia per quanto riguarda la pressione al rialzo sulle componenti dell'inflazione core statunitense dei prezzi al consumo, sia per la possibilità che i dazi abbiano effetti inflazionistici nel breve termine.
Il "Liberation day" ha fatto registrare un forte rialzo del premio a termine, fatto non sorprendente dato che gli investitori obbligazionari tendono a non apprezzare le politiche che creano incertezza significativa sull'inflazione futura. Da allora, però, il premio a termine si è stabilizzato, il che suggerisce che il mercato è sceso a patti con i dazi di Trump.
Data la costante incertezza sulla direzione della politica statunitense, confermiamo la nostra posizione neutrale su tutti i principali mercati dei titoli di Stato, ma rimaniamo vigili sul rischio di shock inflazionistici. Il nostro unico sovrappeso è nei titoli di Stato dei mercati emergenti in valuta locale (Cina esclusa), che continuano a beneficiare della debolezza del dollaro, nonché dei buoni fondamentali economici nazionali e degli elevati tassi reali relativi.
La nostra posizione di sovrappeso nelle obbligazioni societarie dei mercati emergenti, nel frattempo, riflette la convinzione che la crescita dei mercati emergenti rimarrà più resiliente rispetto a quella dei mercati sviluppati. Inoltre, continuiamo a sovrappesare le obbligazioni high yield dell'eurozona grazie agli interessanti rendimenti rettificati per la volatilità e ad un mix crescita/inflazione più favorevole rispetto alle loro controparti statunitensi.
I mercati del credito sviluppati stanno attualmente assistendo ad un restringimento degli spread di rendimento a causa della forte domanda, non da ultimo di nuove emissioni di obbligazioni investment grade. Le aspettative di tassi di insolvenza stabilmente bassi (gli utili societari sono stati forti e l'indebitamento è moderato) sostengono le prospettive positive per il credito.
A parte ciò, ci aspettiamo un ulteriore indebolimento del dollaro visto che gran parte dell'impatto delle misure monetarie di Trump si riflette su proprio sulla valuta. Di conseguenza, manteniamo la nostra posizione di sovrappeso sull'euro e sul franco svizzero e il nostro pieno sovrappeso sull'oro, che continua a rappresentare una copertura importante sia contro l'inflazione che contro le preoccupazioni per gli eccessivi livelli del debito.
Le informazioni, opinioni e stime contenute nel presente documento riflettono un’opinione espressa alla data originale di pubblicazione e sono soggette a rischi e incertezze che potrebbero far sì che i risultati reali differiscano in maniera sostanziale da quelli qui presentati.