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Negoziazioni Usa-Cina e impatto sui portafogli
di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm

Le negoziazioni tra Stati Uniti e Cina avviate la scorsa settimana in Svizzera con l’obiettivo di ridurre i dazi commerciali reciproci hanno, per ora, ottenuto risultati insperati. Entrambi i Paesi hanno concordato un abbassamento delle tariffe per un periodo di 90 giorni: gli Stati Uniti hanno ufficializzato un taglio dal 145% al 30%, mentre la Cina dal 125% al 10%. Positiva la reazione dei mercati, in particolare di quello statunitense, che hanno registrato rialzi durante tutta la settimana, dando seguito a un recupero già avviato con l’annuncio da parte dell’amministrazione Trump del rinvio di alcuni dazi – Cina esclusa – lo scorso 9 aprile. Ad oggi, l’azionario statunitense è tornato ai livelli pre-Liberation Day. La situazione appare quindi migliore rispetto a quanto si temeva un mese fa e il passo indietro del governo americano dovrebbe contribuire ad attenuare alcuni dei rischi legati a crescita e inflazione. Tuttavia, la scadenza della “tregua” non è così lontana e, sebbene i primi segnali lascino intravvedere la possibilità di un accordo che soddisfi tutte le parti, l’esito delle negoziazioni resta incerto. L’impatto del nuovo regime di politica commerciale non sarà forse così grave come inizialmente temuto, ma potrebbe comunque pesare sulla crescita e sulla fiducia degli investitori.
D’altro canto, gli utili riportati dalle aziende americane per il primo trimestre sono stati solidi e, in condizioni di mercato più stabili, avrebbero rappresentato un valido sostegno per i listini azionari, anche se non riflettono ancora pienamente l’impatto delle recenti tensioni commerciali e dell’incertezza politica. La reporting season non è ancora conclusa, ma, secondo FactSet, oltre il 75% delle società dell’S&P 500 avrebbe riportato utili superiori alle attese nel primo trimestre, un dato al di sopra della media storica. In termini di crescita, gli utili sembrano aumentati del 13% circa anno su anno, mettendo a segno il secondo trimestre consecutivo di crescita a doppia cifra. Nel corso delle prossime settimane, è probabile che l’attenzione dei mercati si concentri sul dibattito sul bilancio statunitense, soprattutto per quanto riguarda l’ipotesi di nuovi tagli fiscali e l’entità del disavanzo complessivo – ovvero la differenza negativa tra le entrate e le spese pubbliche. Da monitorare anche il tema delle indagini antitrust intraprese contro alcune delle principali società tecnologiche statunitensi: qualsiasi azione legale concreta richiederà probabilmente anni, ma resta un rischio potenziale che potrebbe guadagnare visibilità nei prossimi mesi. Sul fronte macroeconomico, la domanda interna negli Stati Uniti ha subito un leggero rallentamento e, in particolare, emergono pressioni sui consumatori a basso reddito, come evidenziato dall’aumento delle insolvenze sui prestiti auto.
A livello di portafogli, il brusco calo di aprile, seguito da una rapida ripresa, ha ricordato agli investitori quanto sia complesso tentare di anticipare i mercati, soprattutto in contesti caratterizzati da forte instabilità. Negli ultimi giorni abbiamo colto l’opportunità offerta dal recupero dei mercati per ridurre lievemente l’esposizione azionaria nei nostri portafogli, incrementando la diversificazione geografica e diminuendo la componente in ETF su Treasury statunitensi a lunga scadenza. Per i profili più propensi al rischio, abbiamo introdotto un ETF azionario a bassa volatilità, composto da società che storicamente hanno registrato minori oscillazioni rispetto al mercato azionario globale. L’obiettivo è quello di contenere il rischio complessivo dei portafogli in vista di possibili nuove fluttuazioni, senza rinunciare a partecipare a eventuali ulteriori rialzi dei mercati azionari.