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Narrativa vs realtà: la Geopolitica Rallenta il Rally?

Se da un lato il clima mediatico resta pervaso da previsioni fosche, dall’altro lato il mercato continua a dimostrare una capacità di assorbimento straordinaria. Gli indici azionari globali, dopo una fase molto intensa di rialzi, si muovono in prossimità dei massimi storici. L’S&P 500 ha messo a segno un rendimento superiore al 20% in appena due mesi: uno dei migliori rally su base bimestrale di sempre.
La storia ci insegna che, dopo questi rialzi, solitamente i mercati tendono più a consolidare e salire ulteriormente, piuttosto che a crollare, registrando addirittura rialzi superiori alle medie storiche anche nei mesi successivi.
Chi ha mantenuto razionalità, come suggerito nei precedenti podcast, ignorando la valanga di titoli apocalittici su dazi, stagflazione, debito e crisi sistemiche, oggi si ritrova con un portafoglio più solido e coerente con i propri obiettivi.
Il tema tariffario, benché ancora da risolvere, sembra in realtà non essere più molto considerato dal mercato, che sta ora guardando con maggiore attenzione al fronte fiscale, con il “Big Beautiful Bill” di Trump sempre protagonista, ed una serie di implicazioni che vanno ben oltre la polemica politica. Si stima che la proposta possa aumentare il deficit federale di circa 2,5 trilioni di dollari in dieci anni, mentre alcune stime spingono la cifra fino a 5 trilioni.
Eppure, i rendimenti dei Treasury americani sono scesi nei giorni scorsi: il decennale è tornato al 4,35%, complice il rallentamento di alcuni indicatori macro — tra cui l’ISM servizi e i dati ADP sull’occupazione privata — che sembrano raffreddare le aspettative d’inflazione, come confermato dalle ultime rilevazioni.
Il CPI di maggio ha infatti mostrato una dinamica molto meno aggressiva del previsto uscendo al di sotto delle attese, dimostrando che i dazi tanto discussi, sembrano per ora non aver avuto un impatto inflattivo particolarmente significativo. Questo smonta, almeno temporaneamente, lo scenario di stagflazione che era stato paventato da molti.
Un altro elemento spesso trascurato, ma fondamentale, è la resilienza del mercato del lavoro. Le nuove imprese registrate in aprile sono rimaste vicine ai massimi storici, nonostante la volatilità dei mercati e l’incertezza geopolitica. È un segnale di vitalità strutturale dell’economia reale. E se da un lato l’ISM servizi è sceso sotto la soglia dei 50 punti, segnalando una possibile contrazione, dall’altro gli indici PMI sono tornati a livelli espansivi. Le letture divergenti suggeriscono un'economia più complessa da decifrare, ma tutt’altro che in recessione.
La verità è che il mercato obbligazionario sta imparando a convivere con un debito pubblico crescente.
Questo anche grazie all’attesa di una riforma strutturale in tema di regolamentazione bancaria. Come già accennato in precedenza, ci aspettiamo che nei prossimi mesi il tema della deregolamentazione – uno dei punti centrali dell’agenda politica di Trump – si affermi al centro del dibattito e diventi il focus dominante sul mercato, con impatti potenziali molto positivi. L’amministrazione Trump potrebbe ad esempio a tal proposito spingere per una modifica del coefficiente SLR (Supplementary Leverage Ratio) ovvero un indicatore che impone alle grandi banche americane di mantenere un certo livello minimo di capitale in relazione alla loro esposizione totale alla leva finanziaria 'supplementare', permettendo in sostanza alle grandi banche statunitensi di acquistare Treasury in misura molto più significativa delle attuali. Sarebbe, di fatto, un enorme sostegno implicito al mercato obbligazionario — una sorta di Quantitative Easing di nuova generazione, ma su base bancaria e regolamentare.
Altra dinamica da sottolineare sui mercati è la continua debolezza del dollaro, uno dei temi più discussi in tutti i comitati di investimento di ogni asset manager europeo, con il cambio euro dollaro che arriva a toccare gli 1.16, livelli che non si vedevano dal 2021.
La narrativa dominante vuole che la recente debolezza della valuta americana sia colpa delle politiche “erratiche” di Trump, della crescente sfiducia verso gli asset USA e, naturalmente, del solito spauracchio della “de-dollarizzazione”. Ma la realtà dei flussi valutari suggerisce un’altra chiave di lettura, molto più interessante e strutturale: i grandi fondi pensione globali così come tutti gli investitori europei, stanno progressivamente aumentando la copertura sul rischio di cambio. Per anni questi operatori hanno investito nella crescita eccezionale degli equity americani e quindi acquistato asset in dollari e hanno mantenuto tipicamente il cambio aperto, perché in momenti di crisi il biglietto verde tendeva a rafforzarsi compensando le perdite sui mercati azionari. Ma ora questo schema non funziona più: in diverse fasi di “risk-off” recenti, il dollaro non si è rafforzato come previsto, esponendo i portafogli globali a doppie perdite. Da qui, il potenziale avvio di un gigantesco processo di ribilanciamento valutario che potrebbe imprimere ulteriore pressione ribassista sulla valuta USA.
La settimana appena trascorsa verrà anche purtroppo ricordata come quella dove tornano in primo piano le tensioni geopolitiche. Dopo una fase di relativa calma sui mercati, un'azione militare di Israele contro obiettivi strategici in Iran ha spezzando quella narrativa rassicurante che aveva alimentato il recente slancio positivo di Wall Street facendo correggere nella giornata di venerdì tutti gli indici azionari, con una violenta risalita del petrolio.
Con un’operazione militare destinata come minimo a innescare una nuova pericolosa escalation delle tensioni in Medio Oriente, Israele ha sferrato un «attacco preventivo basato su intelligence di alta qualità» contro l’Iran, «con l’obiettivo di danneggiare il programma nucleare» della Repubblica islamica con l’accusa che l'Iran sta violando i suoi obblighi di non proliferazione nucleare.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato di essere stato informato in anticipo dell’operazione israeliana, precisando però che gli Usa non sono coinvolti direttamente.
Intanto, l’amministrazione statunitense continua a monitorare con attenzione la situazione, preoccupata per possibili ritorsioni da parte dell’Iran e Trump ha ribadito che gli Stati Uniti sono pronti a difendere sé stessi e Israele in caso di rappresaglia da parte dell'Iran.
Monitoriamo l’evoluzione degli eventi ma abbiamo ormai imparato quanto i mercati siano cinici. La verità è che i mercati assorbono le narrazioni nel breve, ma premiano i fondamentali nel lungo periodo. E al netto di tutte le preoccupazioni legittime — dazi, debito, geopolitica —gli investitori che mantengono la rotta sono quelli che ottengono i migliori risultati.