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Maratona USA: Politiche, mercati e resilienza degli investitori
di Eric Souders, Director e Portfolio Manager della strategia Absolute Return di Payden & Rygel

La prima metà dell’anno ha mostrato un contesto più accidentato del previsto, in cui la politica ha dettato il passo in misura maggiore rispetto ai fondamentali macroeconomici. Gli investitori si sono trovati a correre una sorta di maratona, fatta di improvvisi cambi di ritmo, raffiche di incertezza e decisioni che hanno ridisegnato il tracciato. Se l’avvio del 2025 lasciava intendere un percorso relativamente lineare, con la Federal Reserve orientata a mantenere condizioni restrittive e un’amministrazione Trump attesa a combinare stimoli fiscali e disciplina di bilancio, i mesi successivi hanno confermato quanto la direzione effettiva dei mercati dipenda dagli sviluppi politici più che dalle sole dinamiche economiche.
Un passaggio cruciale si è verificato il 2 aprile, con l’introduzione di dazi estesi quasi a tutte le importazioni; la misura, che ha portato l’aliquota media effettiva dal 2,5% al 17%, ha costituito uno shock sia sul piano macroeconomico sia su quello finanziario. L’impatto stimato sul PIL, con una contrazione tra l’1 e l’1,5% nel corso dei prossimi quattro trimestri, si accompagna a un ritorno di pressioni sui prezzi, in un contesto già reso fragile dall’incertezza. I mercati hanno reagito con violenza, registrando alcune delle correzioni più rapide degli ultimi anni, salvo poi recuperare terreno dopo la sospensione temporanea delle misure e l’apertura di negoziati. Tuttavia, la volatilità sperimentata in quella fase ha reso evidente quanto il quadro resti vulnerabile.
Un secondo snodo rilevante è arrivato a luglio con l’approvazione del One Big Beautiful Bill Act, un pacchetto fiscale e di spesa che manterrà il deficit federale intorno al 6,5% del PIL nei prossimi anni. La natura temporanea delle misure, che combinano tagli fiscali e nuove spese, lascia aperti molti interrogativi sull’assetto oltre il 2026, mentre un’eventuale proroga delle agevolazioni rischierebbe di ampliare ulteriormente il deficit. Parallelamente, l’istituzione del Department of Government Efficiency, presentato come strumento per ridurre sprechi e razionalizzare la spesa, non ha prodotto i risultati annunciati: a fronte di stime ufficiali di risparmio tra 160 e 190 miliardi di dollari, le valutazioni indipendenti hanno quantificato benefici reali intorno ai 30 miliardi, insufficienti a incidere sul gap di bilancio e potenzialmente accompagnati da costi aggiuntivi di lungo periodo.
Sul fronte del lavoro, la stretta sull’immigrazione ha iniziato a produrre effetti misurabili, con una contrazione stimata della forza lavoro tra l’1 e l’1,5% e una riduzione della crescita del PIL reale 2025 di circa 0,4 punti percentuali. Da un lato questa dinamica sostiene i salari, che mostrano ancora incrementi positivi, ma dall’altro limita il potenziale di crescita e pone vincoli strutturali alla produttività. Si tratta di una tendenza destinata a pesare anche nel medio periodo, in assenza di un’inversione delle politiche di ingresso. La politica monetaria ha nel frattempo consolidato la svolta restrittiva. La Federal Reserve, sotto la guida di Jerome Powell, ha accettato condizioni finanziarie più rigide e un rallentamento della crescita come prezzo necessario per contenere l’inflazione. A inizio anno, le attese di tagli ai tassi per il 2025 sono state praticamente azzerate, rafforzando la preferenza per esposizioni concentrate sul tratto breve della curva, che si sono rivelate remunerative e, soprattutto, più stabili come copertura rispetto alla volatilità del credito.
Sul piano fiscale, le aspettative di un aumento delle emissioni di lungo termine, alimentate dall’insediamento del nuovo Segretario al Tesoro Scott Bessent e dal suo orientamento a favore di una maggiore disciplina di bilancio, non si sono concretizzate. Le aste di rifinanziamento di febbraio, maggio e luglio hanno lasciato invariati i volumi di titoli a lunga scadenza, mantenendo la quota di Treasury bill intorno al 22% del debito negoziabile. Questa scelta ha evitato un inasprimento delle condizioni finanziarie guidato dall’offerta, ma ha anche confermato la dipendenza del Tesoro dal mercato di breve termine, mantenendo una composizione del debito più fragile di quanto auspicato.
Il quadro macroeconomico segnala un progressivo rallentamento: la crescita dei salari si è riportata su ritmi contenuti, le pressioni inflazionistiche si sono attenuate e il PIL nominale si colloca in un intervallo tra il 3 e il 4%, coerente con un raffreddamento dei consumi e con prospettive meno favorevoli per ricavi e utili aziendali. Nonostante ciò, le valutazioni di mercato rimangono elevate: l’S&P 500 tratta a multipli forward intorno a 24 volte e gli spread del segmento high yield restano prossimi ai minimi di ciclo. Questa combinazione di fondamentali in indebolimento e prezzi elevati contribuisce a delineare un quadro di crescente fragilità, in cui gli asset rischiosi appaiono vulnerabili a nuovi shock.
In termini di scelte di portafoglio, la prima metà dell’anno ha confermato l’utilità di un approccio prudente e selettivo. L’esposizione sulla parte breve della curva dei Treasury si è dimostrata efficace, sia per la capacità di generare rendimenti interessanti in un contesto di rallentamento, sia come strumento di protezione. Per contro, le attese di un ricorso maggiore alle emissioni sul tratto lungo non hanno trovato conferma, lasciando invariata la composizione del debito pubblico. Guardando avanti, la strategia rimane ancorata a un atteggiamento cauto nei confronti del credito, con preferenza per il debito emergente e per quei settori statunitensi legati ai consumi primari, come l’housing, mentre permane un approccio più difensivo nei confronti del credito subprime e dei comparti ciclici come l’energia. L’esposizione ai tassi rimane orientata al sovrappeso, con enfasi sulla parte a breve della curva USA, ma con aperture selettive anche verso mercati emergenti e sviluppati al di fuori degli Stati Uniti. Sul fronte valutario, la posizione resta sottopesata sul dollaro, in considerazione di un posizionamento globale già strutturalmente lungo e di differenziali di crescita che si stanno ampliando a favore di altre aree.
Il bilancio di metà anno restituisce quindi l’immagine di un’economia che rallenta sotto il peso di politiche fiscali e commerciali espansive ma poco disciplinate, con mercati che, pur avendo già attraversato fasi di correzione, continuano a prezzare uno scenario relativamente benigno. La traiettoria politica appare più definita, ma le sue implicazioni restano complesse e non prive di rischi. In un contesto caratterizzato da fondamentali in progressivo indebolimento e da valutazioni tese, disciplina, diversificazione e un’attenta gestione del rischio si confermano elementi indispensabili per affrontare i mesi che restano da correre nel 2025.