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L’obbligazionario alle prese con l’incertezza sui dazi e la divergenza fiscale

 
L’obbligazionario alle prese con l’incertezza sui dazi e la divergenza fiscale
A cura di Ariel Bezalel (nella foto) e Harry Richards, Investment manager Fixed Income di Jupiter AM

Dall’eccezionalismo all’incertezza crescente: le sorti dell’economia statunitense sembrano aver preso una piega negativa con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Nel periodo post-Covid, la crescita degli Stati Uniti ha vissuto una fase straordinaria grazie a una politica fiscale espansiva, a una forte spesa per i consumi e a un solido mercato del lavoro. Nei primi giorni dopo l’elezione di Trump, i mercati finanziari erano euforici, poiché gli investitori si concentravano sulla sua agenda pro-crescita, come la riduzione delle tasse e la deregolamentazione.

Tuttavia, i dazi di Trump (prima imposti, poi ritirati) e i cambiamenti geopolitici hanno reso le sue politiche imprevedibili. L’incognita sull’indipendenza della Federal Reserve, dopo i commenti aspri di Trump verso il Presidente Jerome Powell, ha aumentato l’incertezza. L’attenzione dell’amministrazione per il contenimento della spesa pubblica e i tagli ai posti di lavoro annunciati dal Department of Government Efficiency (DOGE) rappresentano un’ulteriore pressione sull’economia.

Le decisioni di Trump in ambito commerciale, monetario, fiscale e geopolitico sono caratterizzate da uno stato di continua instabilità. L’effetto negativo di questa situazione si fa già sentire in un indicatore del sentiment delle piccole imprese. L’indice di incertezza delle piccole imprese della National Federation of Independent Business (NFIB) si trova vicino a un massimo storico a causa delle preoccupazioni legate alle condizioni economiche e alla qualità della forza lavoro. Ciò potrebbe danneggiare i piani di espansione delle piccole imprese e la loro propensione ad assumere nuovo personale. L’incertezza prevalente dovrebbe ripercuotersi anche sulla domanda dei consumatori. Le famiglie statunitensi si aspettano un contesto più difficile e questo potrebbe frenare la spesa e indicare l’andamento futuro del mercato del lavoro.

Ciò che è diverso ora rispetto alla resilienza degli ultimi tre anni è la determinazione della nuova amministrazione a contenere il deficit fiscale vicino al 3% del PIL. Tutto dipenderà da quanto aggressivamente il governo taglierà la spesa.

Nel momento in cui il governo statunitense sta diventando austero, l’Europa si sta liberando del suo conservatorismo fiscale. Ciò è stato in parte innescato dalle dichiarazioni di Trump sulla cooperazione transatlantica in materia di difesa di cui le potenze occidentali hanno beneficiato a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha promesso di fare “whatever it takes” per la difesa. Da allora, la più grande economia europea ha escluso dalla regola del freno al debito qualsiasi spesa per la difesa che superi l’1% del PIL (~45 miliardi di euro).

Inoltre, la Germania sta espandendo la sua spesa anche in altri settori. Nei prossimi 10 anni ha in programma di destinare altri 500 miliardi di euro alle infrastrutture (pari all’1,2% del PIL all’anno). Inoltre, consentirà alle regioni e ai comuni tedeschi di gestire un ulteriore deficit (0,35% del PIL).

Da parte sua, la Commissione europea ha approvato un ulteriore prestito di 150 miliardi di euro e ha escluso dal deficit dei Paesi europei 650 miliardi di euro di spese per la difesa.

Riteniamo che questi importanti cambiamenti nella politica fiscale possano contribuire a rinvigorire l’economia europea, sebbene i dazi di Trump abbiano per ora gettato un’ombra sulle prospettive di crescita della regione.

Nel Regno Unito abbiamo assistito a una graduale erosione della fiducia del mercato verso gli asset britannici, in particolare i GILT, a causa dei timori sulla sostenibilità fiscale e sulla persistenza dell’inflazione. Pur non volendo sminuire le sfide, c’è probabilmente una componente di eccessivo pessimismo, dati gli indicatori fiscali non peggiori rispetto ad altri Paesi sviluppati.

Dopo l’annuncio del “Liberation Day” di Trump del 2 aprile scorso, i mercati hanno riconsiderato le aspettative sui tagli dei tassi negli Stati Uniti, prevedendo cinque tagli da 25 punti base entro la fine del 2026. Nel periodo precedente a tale evento, si prevedevano solo due o tre tagli dei tassi quest’anno, seguiti da un altro l’anno prossimo. Un allentamento simile è prezzato nel Regno Unito (quattro tagli) e in Australia (cinque tagli). In questo contesto, riteniamo che i rendimenti dei titoli di Stato rimangano relativamente elevati rispetto agli ultimi 20 anni. In questo senso, continuiamo a vedere vantaggiosa un’allocazione ai titoli di Stato dei mercati sviluppati.

Allo stesso tempo, gli asset di rischio continuano a essere costosi, nonostante la recente volatilità. La stretta degli spread creditizi richiede un’esposizione prudente alle obbligazioni corporate. Per questo motivo riteniamo utile un approccio barbell, composto da un mix di titoli di Stato e da obbligazioni societarie high yield dei mercati sviluppati, accuratamente selezionate. Vediamo valore in alcune selezionate aziende in mercati emergenti come Brasile e Repubblica Ceca; e sono altrettanto interessanti le obbligazioni in valuta locale di India e Brasile.

Le politiche di Trump, che hanno richiamato l’attenzione dei media, hanno scosso l’ordine mondiale costituito e agli investitori non è chiaro quale sia la mossa finale. Ciò ha generato volatilità e incertezza sui mercati. In uno scenario del genere, è molto importante essere accorti nella selezione degli asset per minimizzare i rischi e massimizzare i rendimenti e riteniamo che gli investitori attivi abbiano un ruolo importante da giocare in questo contesto.
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