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Industria: Cgil, dati Istat confermano crisi e smentiscono il Governo

 
“Oggi il difficilissimo compito di riportare il Governo con i piedi per terra viene assunto dall'Istat. Siamo al ventesimo mese consecutivo di calo della produzione industriale, e i dati sull’andamento dell’economia non sono migliori”. È quanto afferma Pino Gesmundo, segretario confederale della Cgil, commentando i dati diffusi dall’Istituto di Statistica.

“La narrazione di un Paese in crescita, che ha riconquistato un forte ruolo europeo e internazionale e che ha invertito la tendenza non è credibile”, prosegue il dirigente sindacale. “I tentativi di sviare l’attenzione dalla reale situazione economica non possono reggere di fronte alla cruda realtà dei numeri, e le continue rassicurazioni del Ministro del Made in Italy, che è sistematicamente ‘in procinto’ di presentare soluzioni a crisi mai risolte, si scontrano con la realtà di una totale passività ai tavoli di crisi aziendali”.

“Qui - sottolinea Gesmundo - non si vedono misure concrete, ma solo approcci meramente notarili e passivi che portano a chiusure, riduzioni occupazionali e processi di delocalizzazione. Che scaricano i loro effetti sugli oltre 120.000 lavoratori a rischio a causa delle trasformazioni, di cui 70.000 solo nell’automotive, 25.459 nella siderurgia, 8000 nell’energia (centrali a carbone e cicli combinati), 2000 nel settore elettrico, 4094 nella chimica di base, 3473 nel settore del petrolchimico e in quello della raffinazione, 8000 nelle telecomunicazioni, per non parlare delle gravi ricadute di tali crisi sulla filiera degli appalti. E solo per citare le crisi formalmente riconosciute. Lavoratrici e lavoratori in carne ed ossa - prosegue - che, a differenza della Presidente Meloni, hanno oggi più che mai bisogno che si difendano i loro diritti sindacali e del lavoro”.

“Se il Governo non intende ascoltare le ragioni dello sciopero generale indetto per il 29 novembre dalla Cgil e dalla Uil, almeno prenda in considerazione i report dell’Istat pubblicati negli ultimi due anni. È tempo di agire, non più di proclamare successi che non ci sono”.
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