Che la grande amicizia (è stata spacciata per tale sin dall'inizio del ''passo a due'' tra l'uomo più ricco del mondo e quello più potente) tra Elon Musk e Donald Trump fosse destinata a durare poco lo avevano pronosticato in molti, perché, essendo i soggetti titolari di un ego spaventosamente grande, era nella logica delle cose che, alla fine, il mondo sarebbe stato piccolo per contenerli entrambi.
Trump & Musk: c'eravamo tanto amati...
Una conclusione scontata anche nei contenuti, perché difficilmente si pensava che se ne sarebbe trovata una che non si lasciasse dietro polemiche, o peggio stracci che volano. La pietra dello scandalo, per Musk, è stata la legge approvata dal Congresso in materia fiscale (fortemente voluta da Trump che per descriverla ha fatto ricorso a iperboli inusuali), che per il miliardario è la sconfessione del principio alla base del conservatorismo in salsa repubblicana: uno Stato snello, che chiude i rubinetti della spesa pubblica, compresi gli alti costi della macchina dell'amministrazione federale.
La cosa poteva finire con un ''ci abbiamo tentato'', ma non certo ben conoscendo il carattere fumantino dei due. Per come è stato, con Musk che, deluso e umiliato, dapprima ha accelerato i tempi del suo disimpegno dalla guida del Dipartimento per l'efficientamento dello Stato federale, per poi alzare il tiro delle polemiche, con dichiarazioni alle quali Trump ha replicato, come al suo solito: pesantemente e condendo le affermazioni con bieche allusioni agli interessi commerciale del suo oggi arcinemico.
Che poi la cosa finisse a pesci in faccia c'era da aspettarselo, ma non al punto che Musk tirasse fuori il dossier Epstein, dicendo che nei files del processo al finanziere, suicida in carcere dove era finito per uno scandalo sessuale, c'era anche il nome di Trump e che per questo il loro contenuto era stato secretato.
Una bella amicizia finita a pallate di letame, lanciate da un campo all'altro, con schizzi che rischiano di coinvolgere anche chi sta cercando, disperatamente, di restare fuori dalla contesa che, da ideologica, è assurta a faida.
La piega assunta dal conflitto ''simil-ideologico'' tra Trump e Musk sta sparigliando l'apparente solidità dello schieramento repubblicano, nel quale il miliardario vuole creare delle crepe, lanciando la proposta di fondare un partito e di metterlo per traverso, rispetto al Gop, nelle elezioni di mid-term dell'anno prossimo.
Che la proposta divenga realtà è certo presto per dirlo, ma forse i repubblicani dovrebbero cominciare a preoccuparsi perché, davanti ad un elettorato che vota più di pancia che per adesione ad una linea politica, l'irrompere di un partito ancora più a destra e foraggiato dal portafoglio di Musk potrebbe erodere, da destra, la risicata maggioranza in alcuni Stati.
Comunque, la Casa Bianca sta cercando di evitare guai peggiori, schierando le sue truppe a fare quadrato attorno a Trump. Quindi, a stretto giro di posta, alle pesanti insinuazioni di Musk sul presunto coinvolgimento di Trump nelle allegre festicciole organizzate da Jeffrey Epstein per fare divertire i suoi tanti, ricchi e potenti amici in cerca di emozioni (leggi: sesso con minorenni), ha risposto la portavoce del presidente, Karoline Leavitt, che ha definito le parole del miliardario "episodio sfortunato".
"Questo è un episodio spiacevole per Elon, che non è soddisfatto del One Big Beautiful Bill (la legge approvata dal congresso, ndr) perché non include le politiche che voleva. Il Presidente è concentrato sull'approvazione di questa legge storica e sul rendere il nostro Paese di nuovo grande".
Una replica che non dice assolutamente nulla, ma che era doverosa, per evitare che a Musk fosse lasciata l'ultima parola. La vicinanza di Trump a Epstein in passato comunque non è esattamente una novità: esistono anche delle fotografie che li ritraggono assieme.
Ma l'accusa di Musk alimenta la preoccupazione di alcuni circoli di destra per la mancanza di trasparenza su Epstein, morto suicida nel 2019 in attesa del processo per accuse federali di traffico sessuale.