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San Valentino, il capitalismo dell’amore

Redazione
 

Ogni anno, il 14 febbraio, milioni di persone si lasciano travolgere dall’evento più stucchevole del calendario: San Valentino. Una ricorrenza in cui l’amore viene ridotto a una transazione economica, a base di cioccolatini di dubbia qualità, mazzi di fiori destinati a deperire in meno di 48 ore e cene a lume di candela con prezzi triplicati per l’occasione.

San Valentino, il capitalismo dell’amore

Ma perché ci ostiniamo a celebrare questa farsa? Facciamo un piccolo viaggio nel delirio collettivo che prende il nome di festa degli innamorati. Se l’amore è eterno, quello per il profitto lo è ancora di più. San Valentino è l’ennesima dimostrazione che il capitalismo ha un talento speciale nel monetizzare anche i sentimenti più puri.

Le statistiche parlano chiaro: ogni anno, solo negli Stati Uniti, vengono spesi oltre 25 miliardi di dollari in regali, biglietti e cene romantiche. In Italia il giro d’affari totale si aggira intorno ai 330 milioni di euro, solo considerando le cene romantiche fuori casa, scelta preferita da circa sei milioni di italiani.

A questa cifra si aggiungono i costi di regali tradizionali come fiori, cioccolatini e gioielli, che fanno lievitare ulteriormente la spesa complessiva. Insomma, anche nel Belpaese il business dell’amore è più florido che mai, con milioni di cuori che battono... e portafogli che si svuotano. E così, per un giorno, il mondo si trasforma in una gigantesca televendita di zucchero filato emotivo, con il sottotesto non troppo velato: “Se non compri qualcosa, il tuo partner penserà che non lo ami davvero”.

Un mazzo di rose? Meh. Un diamante? Forse ci siamo. Una macchina nuova? Ora sì che dimostri i tuoi sentimenti! Se invece pensavi di cavartela con un biglietto scritto a mano, sappi che sei un mostro privo di cuore. Per non parlare di lei: la“Cena romantica di coppia” proposta pure dal ristorante cinese sotto casa, ma a un prezzo che farebbe impallidire l’FMI. Perché per un ignoto motivo, che poi ignoto non è, lo stesso piatto di rigatoni alla carbonara che normalmente costa 10 euro, il 14 febbraio ne costa 50.

E però vuoi mettere l’emozione della candelina sul tavolo e di un cameriere che ti chiama “innamorato”? Se poi non posti la foto della cena su Instagram con l’hashtag #loveforever, sei uno sfigato: la tua relazione è automaticamente nulla per voler di San Valentino nelle veci della Sacra Rota. E non c’è scampo, le regole della modernità impongono di documentare ogni istante: il brindisi, il dolce, persino il momento in cui lui si sbaglia a spegnere la candela con l’acqua. Perché se un amore a San Valentino non è instagrammabile, che amore è?

E che dire di chi è single? La verità è che quella di oggi è la festa più discriminatoria del pianeta. Se non sei in una relazione, ti ritrovi a fare da spettatore non pagante a una maratona di cuori rossi e baci cinematografici. I ristoranti si riempiono di coppiette che si guardano negli occhi con sguardi languidi (o, più spesso, sui loro smartphone), mentre tu cerchi disperatamente di convincerti che una pizza da asporto e una maratona di true crime su Netflix siano il vero romanticismo moderno.

Anche se poi, forse la parte più ridicola di questa festa è l’abuso di cartoncini con frasi smielate che nessuno nella vita reale direbbe mai. “Senza di te la mia vita sarebbe un deserto di solitudine”. Ma sei serio? Un deserto? Quindi senza il tuo partner non esisterebbero amici, passioni personali, né il conforto del gelato al cioccolato? Ah, e poi ci sono le promesse d’amore eterno scritte su biglietti prefabbricati, come se bastasse un pezzo di carta per garantire la fedeltà assoluta fino alla fine dei tempi (spoiler: non funziona così).

La soluzione? Istituiamo il No Valentino Day! Per celebrare l’amore, sì. Ma l’amore per la libertà dal marketing emotivo e per il diritto sacrosanto di amare (o non amare) come ci pare. Magari senza dover comprare per forza un orsetto di peluche con scritto “Ti amo”. Perché, diciamocelo: non ne possiamo più!

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