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Salute mentale in Italia: l'81% vede il disagio come fragilità, ma la domanda di terapia cresce del 66% (Baromestro Unobravo)

Redazione
 
Salute mentale in Italia: l'81% vede il disagio come fragilità, ma la domanda di terapia cresce del 66% (Baromestro Unobravo)

Nonostante la crescente attenzione sul benessere psicologico, la strada per superare stigma, disinformazione e retaggi culturali è ancora lunga. Solo una minoranza degli italiani, il 16%, percepisce la salute mentale come un argomento affrontato apertamente, con gli uomini che si mostrano più ottimisti (19%) rispetto alle donne (13%). Il 28% degli intervistati ritiene che la salute mentale rimanga un tema delicato e difficile da discutere. Questi, riferisce Askanews, sono alcuni dei risultati chiave emersi dalla prima edizione dell'Unobravo MINDex – Il Barometro del Benessere Mentale degli Italiani, un'indagine approfondita su percezioni, aspettative e sfide legate al benessere psicologico.

Salute mentale in Italia: l'81% vede il disagio come fragilità, ma la domanda di terapia cresce del 66%

Lo studio, pubblicato in occasione del Mese della Salute Mentale, ha coinvolto sia il pubblico che i professionisti clinici, esplorando la percezione della salute mentale nella società e nel discorso pubblico, le esperienze e gli ostacoli alla terapia, e la cura della mente nei luoghi di lavoro.

Il dato più significativo che emerge è che per l'81% degli italiani, il disagio psicologico è ancora percepito come un indice di fragilità caratteriale. A riscrivere, almeno in parte, questa narrativa sono le generazioni più giovani: ben il 43% dei rispondenti nella fascia 18-29 anni crede che sia in atto una trasformazione positiva nel modo in cui si guarda alla salute mentale. Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda il comportamento di molti italiani, soprattutto donne e giovani, che si sentono spesso costretti a fingere di stare bene. Tra i 18 e i 29 anni, ben il 38% afferma di aver dovuto nascondere il proprio disagio emotivo, e di questi, il 20% lo fa quotidianamente. Tra gli over 40, il 36% dichiara invece di non fingere quasi mai.

Questo fenomeno evidenzia la persistente difficoltà della nostra società a normalizzare la vulnerabilità emotiva come parte legittima dell’esperienza umana. Questa "maschera" è spesso indossata per difendersi da commenti stereotipati: più di 4 italiani su 10 hanno dichiarato di aver sentito o pronunciato la frase: "Tutti hanno dei problemi, affrontali". Le donne riportano più spesso degli uomini di sentirsi rivolgere questa espressione (48% contro il 38% degli uomini). Anche tra i più giovani, un gruppo consistente racconta di essere stato liquidato con espressioni come "stai solo esagerando" (39%).

La maggior parte del campione (82%) si considera del tutto o almeno in parte consapevole del proprio stato emotivo e del conseguente impatto sulla vita quotidiana, con una leggera prevalenza tra gli over 40 (84%) rispetto ai gruppi più giovani. Questo dato, tuttavia, contrasta con il parere degli psicologi: il 90% dei professionisti dichiara che solo in poche occasioni i pazienti comprendono appieno il proprio disagio emotivo.

Gli uomini percepiscono il proprio benessere mentale in modo significativamente più positivo (68% buono/molto buono) rispetto alle donne (54%), le quali riportano più frequentemente un peggioramento nell’ultimo anno (22% contro il 15% degli uomini). Inoltre, le donne si prendono meno cura della propria salute mentale rispetto agli uomini, con il 21% che tende a dare priorità agli altri (contro il 12% degli uomini). Oltre il 90% degli italiani ha vissuto almeno una difficoltà che ha influenzato il proprio stato psicologico. Tra le principali cause spiccano lo stress lavorativo (35%), le preoccupazioni economiche o abitative (29%) e i timori legati alla salute (27%). Giovani (18-29 anni) e donne sono più inclini a sperimentare ansia sociale o bassa autostima (31% dei giovani, 30% delle donne), solitudine (25% dei giovani), oltre a sentirsi bloccati, insoddisfatti e privi di uno scopo (32% dei giovani, 28% delle donne).

Tra gli uomini emergono più frequentemente stress legato al lavoro (37%) e problemi di dipendenza (11%).
Le relazioni personali sono l’ambito più colpito da una salute mentale inadeguata (46%), seguite dalla crescita personale e dall’autostima (40%), dalla salute fisica e dal benessere (38%) e dal lavoro e carriera (37%). Quattro giovani su dieci (40%) sentono che le proprie emozioni e stato psicologico impediscono quasi sempre o spesso di vivere appieno determinate situazioni o opportunità. Dal punto di vista delle tematiche sociali che destano preoccupazione, al primo posto si colloca la lotta quotidiana per l’uguaglianza di genere, indicata dal 45% degli intervistati.

Seguono le sfide economiche e finanziarie, comprese le tensioni legate alla guerra commerciale (42%), mentre al terzo posto si trovano i timori legati alla violenza e alla sicurezza pubblica (37%) – quest’ultima al primo posto per genitori o caregivers di minorenni. La terapia si sta affermando sempre più come uno strumento imprescindibile per il benessere mentale e la crescita personale per il 42% degli intervistati, in particolare tra le generazioni più giovani (46%) e tra le donne (48%).

Solo una minoranza continua ad associarla esclusivamente a situazioni di crisi o emergenza (13%), mentre il 6% dichiara di non credere nella terapia. Sull'impatto dell'Intelligenza Artificiale nel settore, i giovani non la temono e la vedono come un'alleata del proprio benessere psicologico: il 52% degli intervistati tra i 18 e i 29 anni ritiene che l’IA avrà un impatto positivo sul miglioramento dell’assistenza alla salute mentale. Il costo rimane tuttavia la barriera principale: il 57% afferma che sarebbe proprio questo a ostacolare l’inizio di un percorso psicologico.

La salute mentale continua a non essere adeguatamente valorizzata in azienda: solo un terzo dei lavoratori (33%) ritiene che la propria organizzazione promuova un ambiente psicologicamente sano. Quattro lavoratori su dieci (42%) riportano che il loro datore di lavoro non offre attualmente alcun benefit o supporto specifico per la salute mentale dei dipendenti. Sebbene la maggioranza (56%) si senta libera di esprimere emozioni e difficoltà sul lavoro, il 32% si trattiene per paura di sembrare debole o poco professionale e il 12% si sente costretto a "indossare una maschera".

I lavoratori tra i 30 e i 39 anni sono i più colpiti da stress e burnout: il 65% di loro ha preso in considerazione l’idea di lasciare il lavoro o lo ha già fatto. È più comune mentire per motivi di salute mentale quando si prende un giorno di assenza (38%) che dichiarare la vera ragione (29%). Un'indagine interna, condotta da Unobravo e partecipata da oltre 1.600 psicologi della rete, conferma che la salute mentale resta ancora un terreno minato. Il dato più emblematico riguarda la narrativa interiore più diffusa tra i pazienti: il 73% dei professionisti tende a osservare che gli utenti rimandano l’inizio della terapia perché convinti di dover "farcela da solo/a", un atteggiamento che riflette una visione ancora stigmatizzata del disagio emotivo.

Non sorprende, quindi, che il 57% degli accessi alla terapia avvenga solo dopo un punto di rottura e che nel 70% dei casi non si sia in grado di articolare il proprio malessere, riportando di sentirsi semplicemente "male". I professionisti clinici confermano i dati di tendenza generale rispetto allo spaccato generazionale: il 61% segnala un abbassamento dell’età media dei pazienti, con le generazioni più giovani descritte come più aperte e consapevoli (52%) rispetto alle precedenti. Tra i bisogni più profondi riportati durante i percorsi terapeutici, il più ricorrente è la ricerca di stabilità e sicurezza psicologica (41%), spesso compromesse da un contesto che continua a imporre ai pazienti aspettative di efficienza e produttività, anche nel proprio processo di guarigione.

L’impatto della pandemia ha avuto un ruolo di acceleratore nella domanda di supporto psicologico: il 66% dei professionisti clinici ha registrato un aumento delle richieste già a partire dal primo lockdown, stimato in molti casi tra il 26% e il 50%. In questo scenario, la terapia online ha rappresentato un fattore abilitante determinante.

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