Esteri

Caso Pelicot - ''E ho smesso di chiamarti papà'': la voce coraggiosa di Caroline Darian

Barbara Leone
 

Caroline Darian viveva un'esistenza che molti avrebbero definito normale. A poco più di quarant’anni, aveva un lavoro appagante come responsabile delle comunicazioni, una casa a Parigi, un marito impegnato in un popolare programma televisivo e un figlio di sei anni.
Le sue estati erano spesso scandite da momenti sereni trascorsi a Mazan, un pittoresco villaggio della Provenza, dove i suoi genitori, Gisèle e Dominique Pelicot, si erano ritirati. Quella tranquillità è stata brutalmente spezzata una sera di novembre del 2020, quando sua madre le telefonò per rivelarle una verità sconvolgente.

Caso Pelicot - ''E ho smesso di chiamarti papà'': la voce coraggiosa di Caroline Darian

Dominique Pelicot, padre amorevole e marito devoto agli occhi del mondo, era stato arrestato per aver filmato di nascosto sotto le gonne di donne in un supermercato.
Ma le indagini svelarono una realtà ancor più raccapricciante: per quasi dieci anni, Dominique aveva drogato e violentato la moglie Gisèle, documentando ogni atto e coinvolgendo almeno 70 uomini sconosciuti in una spirale di aberrazione. Quello che è seguito è stato un processo che ha segnato la storia giudiziaria francese e, forse, europea. Dominique Pelicot è stato condannato a vent’anni di carcere, mentre i complici identificati hanno ricevuto pene severe per stupro, tentato stupro e violenza sessuale. Almeno altri venti uomini rimangono tuttora ignoti, lasciando una ferita aperta nella ricerca di giustizia. Il caso ha acceso i riflettori su una realtà spaventosa: l’uso della sottomissione chimica, spesso considerata un pericolo legato a estranei, ma in realtà perpetrata anche all’interno delle mura domestiche.
Nel 2022, Caroline Darian ha pubblicato il libro “E ho smesso di chiamarti papà”, un resoconto intimo e straziante del primo anno dopo le rivelazioni. Ora disponibile anche in Italia grazie all’editore UTET, il volume è un viaggio tra dolore, rabbia e ricerca di senso.

Attraverso una serie di voci in stile diario, Darian racconta come la sua vita ordinaria sia stata travolta dalla scoperta della doppia identità del padre: il genitore premuroso e il carnefice senza scrupoli. ''Mio padre drogava mia madre e la serviva a degli sconosciuti perché la violentassero'', scrive Darian. Una frase che è difficile anche solo concepire, ma che rappresenta il cuore di un trauma che ha segnato la sua famiglia. Con il suo libro, Caroline cerca di fare luce su una forma di abuso che troppo spesso rimane nell’ombra, invitando alla riflessione e all’azione. Al centro di questa vicenda emerge la figura di Gisèle Pelicot, descritta dalla figlia come una donna di straordinaria forza e dignità. Durante il processo, Gisèle ha assistito alla proiezione delle immagini che documentavano gli abusi, descrivendo il proprio corpo come un ''involucro vuoto, una bambola di pezza''. La sua testimonianza è stata cruciale per assicurare i colpevoli alla giustizia, ma ha anche evidenziato il prezzo personale di una tale esposizione.
Nel corso degli anni, i sintomi che inizialmente sembravano segnali di Alzheimer — difficoltà di concentrazione, perdite di memoria, svenimenti — si sono rivelati effetti delle droghe somministrate da Dominique. L’incubo di Gisèle non era frutto di una malattia degenerativa, ma di un piano diabolico architettato dal marito.

Il caso Pelicot ha sollevato interrogativi profondi sulla complicità sociale nei confronti della violenza di genere. Gli uomini coinvolti, reclutati attraverso un forum chiamato À son insu (“A sua insaputa”), hanno agito nella quasi totale impunità per anni, protetti dall’anonimato e dall’indifferenza. È stato solo grazie alla determinazione di Gisèle e Caroline che la rete di abusi è venuta alla luce, costringendo la Francia e il mondo a confrontarsi con una realtà scomoda.

Per Caroline, scrivere “E ho smesso di chiamarti papà” è stato un atto di resistenza e guarigione. Nel libro, la figlia racconta non solo il tradimento di un padre, ma anche il difficile percorso verso una nuova identità. Darian ha scelto uno pseudonimo che unisce i nomi dei suoi fratelli, David e Florian, come simbolo di unità familiare di fronte alla distruzione causata dal padre. La narrazione è punteggiata da metafore potenti: scoprire l’abuso è come essere travolti da un autobus, guardare in un pozzo senza fondo, o trovarsi intrappolati in un labirinto. Attraverso queste immagini, Darian riesce a trasmettere l’impatto emotivo di un trauma che sfida le parole dando vita ad una vera e propria chiamata all’azione per rompere il silenzio e affrontare il fenomeno della sottomissione chimica e della violenza di genere. ''Una volta che qualcosa è stato scritto, non c’è modo di sfuggirgli'', scrive Darian.

Parole dure, ma necessarie, le sue, che rimarranno per sempre come un monito e un invito a non distogliere lo sguardo di fronte all’orrore. Perché solo attraverso il coraggio di testimoniare e ricordare possiamo sperare di costruire una società più giusta e consapevole.

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