Viviamo in un mondo orribile. Va detto senza giri di parole, senza edulcorazioni, senza quella patina ipocrita di ottimismo social che ci racconta ogni giorno quanto tutto sia “inclusivo” e “accogliente”. Non lo è. Lo dimostra, tragicamente, la storia di Marc, il figlio di otto anni del calciatore della Lazio Pedro, finito nel tritacarne dei social per aver indossato una tiara di brillantini alla sua festa di compleanno. E da lì, il delirio.
Una tiara al veleno: l’odio social contro un bambino di 8 anni è il fallimento definitivo della civiltà
Pedro, in buona fede, ha pubblicato una foto dolcissima: un bambino che festeggia il suo giorno speciale, felice, libero, sereno. Ma il web – quello stesso web che si riempie la bocca di diritti civili e “love is love” solo quando conviene – ha reagito come un branco rabbioso. Una pioggia di commenti vomitevoli, carichi di omofobia, sessismo, ignoranza cruda e pura cattiveria. Roba da raccapriccio. Roba da leoni da tastiera che si sentono padroni di insultare un bambino.
Pedro ha dovuto chiudere i commenti, come si chiude una finestra durante una tempesta di fango. E poi ha risposto con parole splendide, da padre vero: “Marc è speciale, lo amo com’è, voglio che sia libero”. Parole che scaldano il cuore. Ma che lasciano anche un retrogusto amaro, perché la realtà è più violenta dei nostri buoni propositi.
E allora serve il coraggio di dire qualcosa di impopolare, ma necessario: pubblicare oggi la foto di un bambino, soprattutto se piccolo, soprattutto se non conforme ai canoni ottusi del branco digitale, è sicuramente un gesto di coraggio. Ma che richiede un grado di consapevolezza enorme.
Perché viviamo – purtroppo, purtroppo e ancora purtroppo – in un’epoca in cui l’innocenza viene sbranata senza pietà. Non è solo una questione di haters: è anche, e soprattutto, una questione di sicurezza. Di pedopornografia. Di mercificazione dell’immagine dei minori. Di contenuti che sfuggono al controllo in una manciata di secondi e finiscono in circuiti oscuri, in meme disgustosi, in archivi digitali dove nessun bambino dovrebbe mai comparire. Non è una critica a Pedro, che ha agito da padre orgoglioso.
Ma è una constatazione dura: ha peccato di superficialità. Di ottimismo eccessivo. Di fiducia mal riposta nella presunta civiltà dei social. E il risultato è stato che quella foto, bellissima, è diventata virale al pari di quella degli amanti pizzicati al concerto dei Coldplay: un bambino e una coppia adultera messi sullo stesso piano di interesse pubblico. Di cosa stiamo parlando? Siamo al paradosso di una società che da un lato blatera di libertà individuale e autodeterminazione, e dall’altro massacra un bambino per vestitino con le spalline una coroncina coi brillantini. Un paese (volutamente in minuscolo) e una rete dove la virilità tossica è ancora la religione dominante, e l’educazione affettiva è considerata una minaccia all’ordine costituito.
Dove essere padre significa dover difendere il proprio figlio non solo dal mondo esterno, ma anche da chi ti segue sui social, magari con la foto del proprio figlio nel profilo e una citazione di Madre Teresa nella bio. Ma è proprio per questo che va detto chiaramente: il compito degli adulti non è solo amare i figli. È proteggerli. Anche da ciò che non vedono. Anche da ciò che li odia a prescindere. E oggi, nel 2025, proteggere significa – anche – pensarci due, tre, dieci volte prima di postare una loro foto. Perché un'immagine non è più solo un ricordo, è un'esposizione. Un’esposizione pericolosa. E spesso, irreversibile.
La foto di Marc, nella sua bellezza disarmante, è diventata una miccia. Ha mostrato quanto siamo indietro, quanto siamo feroci, quanto la libertà – quella vera – sia ancora merce rara. Ma dovrebbe essere anche una lezione. Un monito. Una sveglia sonora per tutti i genitori che, con leggerezza, pubblicano ogni attimo foto e video dei loro figli come se il web fosse un album di famiglia, e non una giungla. Il problema non è Marc, che è meraviglioso. Il problema non è Pedro, che è un padre coraggioso.
Il problema siamo noi. Noi adulti, noi spettatori, noi utenti. Che abbiamo creato un mondo digitale dove l’infanzia non è più sacra, ma esposta, analizzata, insultata, deumanizzata. E allora sì, la risposta di Pedro è commovente. Ma l’unica vera risposta, quella concreta, quella utile, è cambiare approccio. Smetterla di credere che i social siano un luogo neutro. Capire che, purtroppo, il mondo è orribile. E proprio per questo, ogni bambino merita protezione. Anche, e soprattutto, dai nostri like.