L'obesità in Italia non è più solo un problema di salute marginale, ma una vera e propria emergenza che ha visto un'impennata preoccupante negli ultimi vent'anni, accelerata dal periodo pandemico. Secondo gli ultimi dati Istat, tra il 2003 e il 2023, si è registrato un incremento del 38% nel numero di persone obese, coinvolgendo circa 6 milioni di italiani.
Obesità, in Italia quasi 6 milioni con un boom tra le giovani donne
L'allarme riguarda in particolare i giovani adulti: nella fascia d'età 18-34 anni, l'incidenza è triplicata, passando dal 2,6% al 6,6%. Le donne sono le più colpite, con un'incidenza che si stima abbia raggiunto il 10% della popolazione femminile, a fronte di numeri raddoppiati negli uomini. Crescite significative si osservano anche nella fascia 35-44 anni (dal 6,4% al 9,8%) e tra gli over 74 (dall'11% al 13,8%). Fortunatamente, lo scenario di cura sta cambiando grazie all'arrivo di nuove terapie farmacologiche. Sono finalmente disponibili anche in Italia i nuovi farmaci agonisti del recettore GLP-1 (GLP-1Ra) e i dual agonist (GLP-1 + GIP).
Queste molecole mimano gli ormoni naturali prodotti nell'intestino, stimolando il rilascio di insulina e favorendo il controllo dei livelli di glucosio nel sangue nei pazienti con diabete di tipo 2. Ma la loro efficacia e sicurezza si stanno rivelando cruciali anche nel contrasto all'obesità. Questi farmaci, che stanno rivoluzionando l'approccio terapeutico, sono stati al centro del "3° Ame Obesity Update: trattamento dell’obesità e delle sue complicanze", l'evento promosso dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME) da poco conclusosi a Roma.
"I nuovi farmaci – ha spiegato all’Adnkronos Andrea Frasoldati, presidente AME (in foto) – rappresentano uno strumento terapeutico innovativo in grado di modificare la storia naturale della malattia, in sinergia con un ampio armamentario di altre opzioni di trattamento come il counselling dietologico e psicoterapico, la chirurgia bariatrica, quando indicata." Frasoldati ha poi sottolineato un aspetto cruciale: "A portare il ‘peso’ maggiore dell’obesità sono tradizionalmente le donne, che pagano un prezzo più alto, rispetto all’uomo, in termini di stigma sociale e di colpevolizzazione, a causa di barriere culturali e modelli estetici dominanti, talora di implicazione sessista, che hanno portato a idealizzare una bellezza femminile tendente alla magrezza, diversamente dal maschio, in cui qualche chilo in eccesso viene erroneamente interpretato come segno di benessere."
Le implicazioni dell'obesità femminile vanno oltre lo stigma sociale e toccano aspetti delicati come la fertilità e la gravidanza. Per una donna obesa che desidera una maternità, possono sorgere difficoltà nel concepimento, problemi nel portare a termine la gravidanza, rischio di aborto spontaneo, parto pretermine, distacco di placenta, diabete gestazionale e disturbi fetali (bambini troppo grandi o troppo piccoli per l'età gestazionale), oltre all'ipoglicemia neonatale.
"I nuovi trattamenti farmacologici, specificatamente gli analoghi recettoriali del GLP-1 – ha evidenziato sempre all’Adnkronos Silvia Irina Briganti, medico e membro della commissione obesità AME – possono essere finalizzati anche a ridurre il peso ‘in vista’ di una eventuale gravidanza. Tuttavia, al riguardo, gli studi sono pochi per la difficoltà a effettuarli in questa specifica fascia di popolazione e per la loro recente introduzione in Italia. Le ridotte evidenze, soprattutto in termini di sicurezza, spingono a un uso cautelativo."
La dottoressa Briganti ha specificato che la somministrazione di questi farmaci richiede attenzioni particolari: "La somministrazione di GLP-1 e dual agonist richiede, ad esempio, ‘di sospendere semaglutide e tirzepatide nei 2 mesi che precedono il concepimento o, in caso della liraglutide, oggi in dismissione, un paio di settimane. A tale proposito – ha sottolineato – le donne vanno correttamente informate per evitare che incorrano in rischi soprattutto di malformazioni fetali, così come della necessità di seguire un percorso terapeutico ben definito, multidisciplinare e che coinvolga più figure professionali, in primo luogo l’endocrinologo e il ginecologo, lungo tutta la gravidanza. Le donne – ha avvertito – devono essere parte attiva di un attento programma, oltre che terapeutico, anche di counselling e educazionale."
Spesso, nella gestione dell'obesità, si trascura il legame con i disturbi compulsivi e la fame emotiva, dove il cibo diventa un atto compensatorio, consolatorio o un sedativo per ansia e stress. "Se l’aspetto emotivo non è conosciuto o non viene riconosciuto – ha precisato Simonetta Marucci, coordinatrice Commissione Rapporti Slow Medicine di AME – si rischia di fallire nell’approccio al paziente, anche nel caso in cui si impieghi il farmaco, che è un supporto allo stile di vita non il sostituto."
La fame emotiva colpisce circa un obeso su tre (35%) con disturbo alimentare compulsivo (BED, Binge Eating Disorder), a cui si aggiunge una "fascia grigia" con manifestazioni sottosoglia. Recenti studi sembrano indicare che gli agonisti GLP-1 possano essere efficaci anche nel trattamento di forme di obesità con prevalenza dell'aspetto compulsivo, grazie alla loro azione "sui centri che regolano fame, sazietà, piacere e mangiare edonico legato più a gratificazione che alla nutrizione."
L'obiettivo attuale della ricerca clinica è confermare l'efficacia di questi farmaci anche a lungo termine e l'aderenza terapeutica, poiché l'interruzione della terapia può portare a un effetto rebound del peso. Attualmente, "queste terapie sono legate ad almeno 2 criticità – ha evidenziato Marucci – la prescrivibilità, consentita solo a pazienti diabetici e l’elevato costo, non sostenibile per tutti."
Anche le forme di obesità legate a disturbi compulsivi richiedono un approccio multidisciplinare che includa counselling educativo e un percorso psicologico/psichiatrico di almeno due anni, seguito da un follow-up. I disturbi alimentari, pur classificati come malattie mentali, hanno gravi ripercussioni fisiche, endocrinologiche e cardiologiche, con un impatto significativo sulla salute mentale. Nonostante alcuni pregiudizi culturali, sociali, etici, religiosi e sessuali siano diminuiti nel tempo, "assistiamo, nei confronti dei pazienti con obesità, a pregiudizi e stigmatizzazione esternalizzata – ha affermato Anna Nelva, coordinatrice Commissione Lipidologia e metabolismo di AME – che si ripercuotono ad esempio sul mondo del lavoro, portando a stimare che la persona con patologia sia priva di disciplina e di organizzazione, con effetti penalizzanti in termini di assunzione, avanzamento di carriera, o a pregiudizi in ambito sociale, famigliare e, in contesti scolastici, con atti di bullismo, fino a ripercussioni in contesti assistenziali con follow-up meno ravvicinati rispetto a persone normopeso."
D'altra parte, l'internalizzazione di questi pregiudizi porta la persona obesa ad accettare stereotipi negativi, minando l'autostima e innescando ansia e depressione, che a loro volta peggiorano l'obesità e l'accesso alle cure. L'invito della dottoressa Nelva è quello di "lavorare anche per rimuovere i pregiudizi che spesso circondano chi si avvale di terapia farmacologica o della chirurgia bariatrica, come se avesse scelto ‘la via più facile’." La disponibilità dei nuovi farmaci, così efficaci, ha stimolato una riflessione tra i clinici sugli effetti di caratteristiche genetiche e pressioni di un "ambiente obesogeno", aumentando la consapevolezza sulla complessità di questa condizione.
Per garantire il massimo beneficio ai pazienti, "sarà necessaria una forte azione di supporto sociale e sanitario, oltre che un aiuto per superare i pregiudizi internalizzati riguardanti il peso." In questo contesto, "occorre un cambio di visione anche istituzionale per la cura del paziente obeso, altamente complesso – ha concluso Marco Chianelli, Coordinatore Commissione Obesità AME e responsabile scientifico del Congresso –. A livello governativo va posta una maggiore partecipazione attraverso l'inclusione dell'obesità in percorsi diagnostici terapeutici e con processi che possano riguardare ambienti importanti come la scuola, dove la cultura della corretta alimentazione e dell'attività fisica devono essere promosse sin dall’infanzia o negli ambienti di lavoro. A livello di Sistema Sanitario Nazionale invece, il ruolo maggiore si gioca sulla gestione di oltre 6 milioni di pazienti obesi – una vera pandemia – indagando con cura le diverse componenti che concorrono al sovrappeso e obesità: genetiche, ambientali, psicoemotive. Solo un approccio sistemico e collaborativo, con la partecipazione attiva di tutti gli attori impegnati nella gestione di obesità e il sovrappeso – ha concluso – consente e consentirà di affrontare la sfida globale contro questa pandemia."