A inaugurare il gran ballo della disillusione è stato Federico Zampaglione, voce e penna dei Tiromancino, che ha deciso di svelare, con la sottile ironia che gli è propria, il retroscena grottesco di certi concerti annunciati come “sold out” e poi sorprendentemente popolati da seggiole vuote e spettatori reclutati tra i corridoi della Coop.
Sold out a chi? Cronache di stadi mezzi vuoti e glorie gonfiate a suon di biglietti omaggio
In un post divenuto virale, Zampaglione ha messo in scena, sotto forma di sceneggiatura tragicomica, il teatro (anzi, teatrino) dell’assurdo che regola l’industria musicale italiana: il manager “visionario” propone il grande salto (“Bro, lo stadio è tuo!”), l’artista tentenna, poi cede – perché chi rifiuterebbe una simile consacrazione? – e infine si ritrova a fare da comparsa nel proprio sogno infranto, pagandolo a rate salatissime. Il copione è noto: si annuncia trionfalmente il tour nei palazzetti, pardon, negli stadi, e si grida al miracolo del tutto esaurito. Ma poi, quando i numeri veri bussano alla porta, si scopre che la folla non c’è.
O meglio: va costruita. Biglietti svenduti a dieci euro, pacchetti omaggio infilati nei carrelli del supermercato, concorsi social con influencer semisconosciuti e gruppi aziendali spediti in massa a “fare volume”. L’artista? Incassa poco e rimane prigioniero del debito morale (e a volte non solo quello) con chi ha “riempito” lo stadio al posto suo. Zampaglione lo dice chiaramente: questa farsa dura da trent’anni, ma negli ultimi tempi si è trasformata in un’epidemia. Una malattia del sistema che colpisce soprattutto i giovani artisti, ancora intossicati dal sogno del successo facile e ignari che il sold out – quello vero – non si costruisce con un hashtag. Gli fa eco Alex Britti, cantautore ma soprattutto musicista che di gavetta ne ha fatta e tanta, che, con la calma di chi sa che a volte tirarsi indietro è un atto di lucidità, conferma: “Sapevo che non avrei riempito i palasport, e quindi ho detto no”. Della serie: meglio un club pieno che uno stadio vuoto, ma almeno con l’orgoglio intatto.
Il sospetto ha assunto contorni di certezza con il caso Elodie, astro nascente – e ampiamente esibito – del pop italiano, che ha inaugurato la sua stagione negli stadi di Milano e Napoli con spettacoli che, più che per la qualità musicale, hanno attratto il pubblico per una coreografia studiata tra palo da lap dance, mise centimetricamente calcolate per lasciare poco all'immaginazione (inclusa l'assenza strategica di biancheria intima tutta, ma proprio tutta), slinguazzamenti di scena e strizzatine d’occhio a un erotismo da videoclip anni ‘90, nel tentativo maldestro di evocare l’icona Madonna ma finendo, più spesso, in zona parodia. Ebbene, le mappe interattive parlavano chiaro: i posti liberi erano più dei presenti.
Eppure, come per magia, biglietti comparivano ovunque a prezzi da mercatino delle pulci: dieci euro per un concerto che ne avrebbe dovuti costare cinquanta. Nessun proclama, nessuna promozione roboante: solo una presenza silenziosa e impalpabile sui siti di rivendita ufficiali. Una mossa da illusionisti più che da promoter. Ma Elodie non è sola in questo ballo mascherato. A fare i conti con il risveglio dal sogno ci sono anche Bresh e Rkomi, freschi reduci da Sanremo ma già costretti a riprogrammare o cancellare date. Stessa sorte per The Kolors, Benji & Fede, Tony Effe e perfino i CCCP – che nel nome hanno sempre avuto un che di rivoluzionario, ma ora si scontrano con una rivoluzione del tutto diversa: quella del biglietto omaggio. Zucchero, voce di un’altra epoca (e, per fortuna, di un altro spessore), mette il dito nella piaga: “I social e i talent hanno ucciso la gavetta”.
Tradotto: si parte con il piedistallo incorporato, senza avere ancora i muscoli per reggerne il peso. Venditti rincara la dose con l’aria di chi le arene le ha vissute davvero: “Non tutti possono permettersi gli stadi. Il sold out è una conquista, non un filtro di Instagram”. A onor del vero, qualcuno ancora li riempie davvero, gli stadi: Vasco Rossi, Ultimo, Cremonini e pure i Pinguini Tattici Nucleari. Ma sono l’eccezione che conferma la regola. Per tutti gli altri, la tentazione del bluff è dietro l’angolo. E spesso finisce male.
Il Codacons, intanto, ha deciso di passare dalle chiacchiere ai fatti e ha presentato un esposto all’Antitrust per chiedere se questo gigantesco castello di carte possa essere considerato, a tutti gli effetti, una pratica commerciale scorretta. L’inganno è palese: chi ha pagato il biglietto a prezzo pieno si ritrova accanto a qualcuno che l’ha avuto gratis o a un decimo del valore. L’artista ci rimette (in credibilità e in denaro), l’organizzazione ci guadagna (a lungo termine, sulle spalle altrui), e il pubblico finisce preso in giro.
Prendiamo il caso del concerto di Tony Effe al Circo Massimo, in programma per il 6 luglio: a meno di un mese dalla data, la mappa dei posti è più verde della campagna toscana. Forse, ma proprio forse, è arrivato il momento di rimettere i piedi per terra, di tornare ai concerti nei locali dove si suda davvero, si canta insieme, si cresce. Dove il pubblico non è un algoritmo e l’artista non è una figurina promozionale. Dove i biglietti si vendono perché qualcuno ci tiene, non perché qualcuno li regala. E magari, chissà, rivedremo anche il giorno in cui il “tutto esaurito” tornerà a significare qualcosa. Ma per ora, Bro, non stai vendendo un c***o.