Salute

Ciclo e lavoro, il dilemma del congedo: tutela o discriminazione?

Redazione
 
Ciclo e lavoro, il dilemma del congedo: tutela o discriminazione?

Crampi addominali, mal di schiena, nausea, mal di testa, spossatezza... Una giostra di dolori che, dalla pubertà fino alla menopausa, una donna su due conosce fin troppo bene. Un appuntamento mensile con la sofferenza che può trasformare anche i gesti più semplici in prove di resistenza. Eppure, per decenni, questo disagio è stato qualcosa da nascondere, da sopportare in silenzio stringendo i denti tra una riunione e l'altra, tra un'interrogazione e una verifica. Un tabù che ha costretto generazioni di donne a fingere che tutto andasse bene, anche quando il dolore rendeva difficile persino stare sedute su una sedia.

Ciclo e lavoro, il dilemma del congedo: tutela o discriminazione?

 

Oggi, finalmente, qualcosa si sta muovendo e il dibattito sul congedo mestruale sta conquistando spazio nel discorso pubblico, sollevando però interrogativi complessi che dividono l'opinione pubblica tra chi lo considera un diritto sacrosanto e chi teme possa ritorcersi contro le stesse donne che vorrebbe tutelare. Il tema è tornato prepotentemente alla ribalta nel nostro Paese dopo che il Portogallo, lo scorso aprile, ha deciso di introdurre questa misura.

 

Le donne portoghesi che soffrono di endometriosi e adenomiosi possono ora assentarsi dal lavoro o dalla scuola fino a tre giorni senza dover presentare certificati medici e, soprattutto, senza conseguenze sullo stipendio o sul percorso di studi. Una conquista importante, che però non rappresenta una novità assoluta in Europa.

 

Già la Spagna aveva fatto da apripista nel 2023, riconoscendo il diritto al permesso retribuito per le donne affette da mestruazioni invalidanti legate a patologie come endometriosi, adenomiosi o ovaio policistico, anche se in questo caso serve un certificato medico per accedervi. Ma è guardando oltre i confini europei che si scopre come questa battaglia abbia radici lontane.

 

Il Giappone è stato il primo Paese al mondo a riconoscere il congedo mestruale, e lo ha fatto addirittura nel 1947, in un'epoca in cui questi temi erano considerati improponibili nella maggior parte delle società occidentali. Oggi la misura è prevista per legge anche in Vietnam, Corea del Sud, Taiwan, Cina e Zambia, dimostrando come culture molto diverse abbiano saputo affrontare questa necessità. Da noi le proposte non sono mancate, ma nessuna è mai riuscita a trasformarsi in legge.

 

Il primo tentativo risale al 2016, quando quattro deputate del Partito Democratico, Romina Mura, Daniela Sbrollini, Maria Iacono e Simonetta Rubinato, presentarono un disegno di legge che prevedeva fino a tre giorni di congedo mensile per le lavoratrici con mestruazioni dolorose certificate da uno specialista.

 

La proposta era chiara: "la donna che soffre di mestruazioni dolorose ha diritto a un congedo per un massimo di tre giorni al mese", con un'indennità pari al cento per cento della retribuzione e senza che questi giorni venissero equiparati alla malattia, né dal punto di vista retributivo né contributivo. Nonostante l'importanza del tema, il testo non ha mai completato il suo iter parlamentare. Più recentemente, nel 2023, i deputati di Alleanza Verdi e Sinistra hanno riprovato a portare avanti la battaglia, depositando alla Camera una nuova proposta di legge per introdurre il congedo sia in ambito scolastico che lavorativo. Il testo prevede due giorni di assenza giustificata al mese per le studentesse che soffrono di dismenorrea, senza che queste assenze vadano a incidere sul monte ore minimo necessario per la validità dell'anno scolastico. Per le lavoratrici, invece, si propone lo stesso meccanismo: due giorni al mese retribuiti al cento per cento, certificati dal medico ma non assimilabili alla malattia.

 

Nell'attesa che il legislatore si decida, qualche istituzione ha scelto di muoversi in autonomia. È il caso del Liceo Artistico Nervi Severini di Ravenna, che nel 2022 è diventato la prima scuola italiana a introdurre il congedo mestruale per le proprie studentesse. Una scelta coraggiosa, nata dal basso. "L'iniziativa è nata da una richiesta formulata dalle rappresentanti degli studenti in Consiglio d'istituto. Si trattava di una proposta ben strutturata: le studentesse avevano prima fatto un sondaggio sull'esistenza del problema della dismenorrea tra le compagne del liceo e poi anche una ricerca sul congedo mestruale che stava per essere introdotto in Spagna", racconta a Tgcom24 il dirigente scolastico Gianluca Dradi.

 

La soluzione adottata permette alle ragazze con dismenorrea certificata di assentarsi fino a due giorni al mese senza che questi vengano conteggiati nel monte ore necessario per la validità dell'anno. "L'iniziativa mi è sembrata da subito un modo per venire incontro a un problema concreto, ma anche per dimostrare che la scuola è inclusiva e attenta ai bisogni degli studenti, in questo caso delle studentesse, e per introdurre, attraverso le regole dell'istituto, il tema del genere e delle differenze di genere", spiega il preside, che ha apprezzato anche il metodo: "Ho apprezzato che questa richiesta fosse motivata, argomentata, concreta e presentata nelle forme giuste: un modo pratico di dimostrare una competenza di educazione civica". 

 

 A tre anni dall'introduzione, Dradi traccia un bilancio positivo: "L'istituto viene ancora richiesto, ne beneficiano circa 20 studentesse su 600. Grosso modo, dunque, un 3% delle nostre allieve ha le caratteristiche per utilizzarlo perché ha una certificazione medica che attesta la dismenorrea". Un dato che fa riflettere sulla reale portata del fenomeno e sulla necessità di affrontarlo. Ma è proprio qui che il dibattito si fa acceso e le posizioni si dividono nettamente. Per capire meglio la complessità della questione, Tgcom24 ha raccolto le voci di chi vive questo tema da prospettive diverse: imprenditrici, esperte di genere, ginecologi. E le opinioni non potrebbero essere più distanti.

 

Antonella Giachetti, presidente nazionale dell'Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda, non ha dubbi: il congedo mestruale sarebbe controproducente. "Metterebbe ancora di più le donne in una posizione minorativa, sottolineandone una 'difficoltà'", afferma senza giri di parole. "Secondo me sarebbe un boomerang, un ulteriore modo per fare apparire le donne più fragili e deboli".

 

La preoccupazione riguarda soprattutto il mercato del lavoro: "Un datore di lavoro vecchio stile assumerebbe un uomo o una donna sapendo che c'è da considerare anche il congedo mestruale? Perché ci si può poi approfittare di una situazione del genere". Per Giachetti le priorità sono altre: "Per noi donne è sempre tutto difficile perché dobbiamo svolgere più compiti in contemporanea. Allora, come si risolve? Dando la possibilità del congedo mestruale? Mi fa ridere. Secondo me i problemi da affrontare nel nostro Paese sono altri. Basti pensare alla difficoltà a fare figli, a gestirli e a farli crescere, che è enorme". La conclusione è netta: "Differenziare le mestruazioni in maniera specifica sarebbe un'ulteriore discriminante per le donne. Non passiamo il concetto che il ciclo naturale della vita sia una malattia".

 

Di tutt'altro avviso è Martina Albini, coordinatrice del Centro Studi di WeWorld, organizzazione no profit che ha inserito il congedo mestruale nel suo Manifesto per la giustizia mestruale in Italia. "Viviamo in un Paese in cui il tema del ciclo mestruale e della salute mestruale è ancora soggetto a molti tabù e a scarse conoscenze", sottolinea Albini. "Pur avendo una legge già dal 2018 sulla medicina di genere, questa non viene applicata come dovrebbe. Tant'è che, ad esempio, nell'identificazione di disordini e patologie legati al ciclo mestruale abbiamo dei ritardi molto elevati. Pensiamo all'endometriosi, per la quale per ricevere una diagnosi ci vogliono in media otto anni".

 

 Il congedo mestruale, secondo Albini, servirebbe proprio a dare una scossa al sistema: "Sarebbe utile per diverse ragioni. Per dare un impulso a questo ritardo diagnostico, ma anche per riconoscere la diversità dei corpi sui luoghi di lavoro". E qui affronta la questione della possibile discriminazione: "Si può discutere sul fatto che potrebbe essere un fattore penalizzante. Però, anche il congedo di maternità causa ancora oggi disuguaglianze e differenze, eppure non ci verrebbe mai in mente di revocarlo. Le persone hanno bisogni diversi che derivano dall'avere corpi diversi, ma non significa che questa diversità sia una scusa per creare disuguaglianza sul luogo di lavoro". 

 

 A sostegno della sua tesi, Albini cita un'indagine condotta da WeWorld insieme a Ipsos nel 2024 su 1.400 persone: "L'84% era favorevole all'introduzione di un congedo mestruale sia nei luoghi di lavoro sia a scuola". E i numeri raccontano una storia chiara: il 32% del campione prova dolore durante ogni ciclo, in media si perdono 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro in un anno a causa delle mestruazioni, e una persona su due ha rinunciato almeno una volta a giorni di scuola o lavoro per lo stesso motivo.

 

 Ma c'è un altro aspetto che spesso viene trascurato: "In alcuni casi si sta a casa durante il ciclo perché i luoghi di lavoro o le scuole e le università non sono reputati adatti alla gestione delle mestruazioni. Qualche esempio: i bagni non si chiudono a chiave, non c'è la carta igienica, manca il sapone o non c'è la privacy adeguata", spiega Albini, che invita a guardare il problema da una prospettiva più ampia: "I nostri luoghi di lavoro sono a misura di tutte le persone o degli uomini? Se guardiamo i percorsi di carriera sono profondamente lineari e maschiocentrici ed è il motivo per cui anche la maternità a oggi può causare delle penalizzazioni. Tuttavia, questo non significa che certe tutele dovrebbero essere rimosse". 

 

 L'esperta riporta anche un dato sulla produttività: "Sul congedo mestruale ci sono studi che dicono che se si costringe una persona a lavorare nel momento in cui sta male performerà di meno. Quando una persona ha un virus intestinale, un raffreddore, un'influenza non ci si fa problemi a dirle di rimanere a casa e riprendersi per poi tornare al lavoro quando sta bene. Si dovrebbe fare lo stesso anche con il ciclo mestruale". Il vero problema, secondo lei, è culturale: "Questo non accade perché parliamo di una tematica che, nonostante sia fisiologica, naturale e riguardi la vita praticamente della metà della popolazione del nostro Paese, è ancora un forte tabù. Sembra quasi che il dolore legato alle mestruazioni debba essere accettato senza fare nulla. Quando, comunque, tutte le persone che si occupano del tema dal punto di vista medico ci dicono che provarlo non è normale".

 

A proposito di punto di vista medico, Vito Trojano, presidente nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, ha una posizione articolata e per certi versi sorprendente. "Si tratterebbe di un congedo legato esclusivamente a una parte di sintomatologia perché la dismenorrea, un dolore mestruale acuto, è legata a una patologia che va diagnosticata, come una endometriosi, una adenomiosi o anche un fibroma uterino", spiega il medico. 

 

"È un termine generico, un sintomo. Non è una causa di qualcosa. È legata a un disordine mestruale, a un disordine endocrino, a un fibroma, a un qualcos'altro. Quindi, è un campanello d'allarme per qualcosa di diverso che va indagato e risolto". Ed è proprio qui il punto chiave del ragionamento di Trojano: "Dal momento in cui si stabilisce un rilievo legislativo sulla dismenorrea si crea una rassegnazione a un sintomo che invece va curato. La donna deve attraversare i 365 giorni dell'anno nel pieno benessere, senza situazioni limitanti o negative che non siano risolte da una terapia medica o chirurgica".

 

Il medico ricorda che l'Italia ha già degli strumenti avanzati: "Abbiamo delle leggi avanzatissime a livello internazionale che riguardano l'endometriosi. Prima c'è stata l'introduzione della legge che riconosceva l'endometriosi al quarto stadio come malattia cronica, e poi negli anni successivi, due anni fa, anche l'endometriosi lieve e moderata". Per Trojano, normalizzare il dolore mestruale attraverso un congedo sarebbe un passo indietro: "Nel momento in cui si riconoscesse la mestruazione come un momento patologico, alla donna verrebbe creato un handicap, uno stigma culturale discriminante".

 

E aggiunge una considerazione pratica: "Oggi la donna è così impegnata nell'ambito del suo lavoro che andare a dire 'il giorno tot del mese non ci sono perché ho la mestruazione' diventerebbe un fatto discriminante. Quindi, regolamentare il congedo mestruale addirittura con un disegno di legge l'ho sempre considerato eccessivo, tenendo tra l'altro presente che tutto ciò che riguarda la parte relativa al dolore pelvico cronico importante da patologia endometriosica o adenomiosica o quant'altro viene già oggi regolamentato da una legge dello Stato". Insomma: tre voci, tre visioni della questione. Di sicuro resta una sfida, che è quella di trovare il modo giusto per tutelare la salute femminile senza che questo diventi un alibi per marginalizzare ulteriormente le donne in un Paese dove la parità di genere è, ancora e nonostante tutto, una meta lontana.

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