Dopo dieci anni di crociate digitali, di anatemi contro i "somari" e di sguardi torvi dalle prime serate televisive, Roberto Burioni ha deciso di abbandonare i social network. Non perché stanco di difendere la scienza, ma perché - parole sue - non intende più "addestrare gratis le piattaforme di intelligenza artificiale". Oh, ecco. Finalmente un uomo che ha detto basta allo sfruttamento. Peccato che non si tratti del metalmeccanico di Taranto ma del professore del San Raffaele, offeso perché i suoi tweet sono diventati pappa per le IA. 
L'apostasia digitale di Burioni
E allora, indignato come un barone universitario a cui hanno chiesto di fare lezione su Zoom, decide di ritirarsi dal campo di battaglia. E però la questione non attiene esattamente alla sfera dell'etica ma, come sagacemente osservato, della cotica. Perché il nostro paladino della scienza traslocherà immediatamente su Substack, dove continuerà a dispensare verità vaccinali dietro pagamento di un obolo. Meno di due euro al mese, precisa con magnanimità degna di Creso. "Chi vorrà sputare dovrà comunque lasciare un numero di carta di credito", scrive, aprendo la sua nuova cattedra. 
Un'uscita di scena teatrale, quasi felliniana. In perfetto stile Burioni, virologo con l'anima da influencer, metà Pasteur e metà Ferragni (senza trucco e filtri, ma con la stessa granitica convinzione di essere nel giusto), che per anni ha impugnato la tastiera come una clava contro i "coglioni" digitali - termine scientifico, s'intende - guadagnandosi il titolo di scienziato più temuto dai complottisti e più detestato dagli amanti della libertà di insulto.
Il commiato sa di ricatto affettuoso: sei mesi di prova, dopodiché se non raggiungerà il numero minimo di abbonati chiuderà baracca. Una sorta di crowdfunding dell'ego mascherato da esperimento sociale. "Guadagno bene facendo il professore", ci rassicura con encomiabile trasparenza, come a dire: non ho bisogno dei vostri soldi, ma se non me li date prendo il pallone e me ne vado. 
C'è un che di poetico in tutto questo: il paladino della verità scientifica che fugge dai social per non essere divorato dalle intelligenze artificiali, dimenticando che nessuna IA potrebbe mai replicare la sua vanità naturale. E mentre gli algoritmi si arricchiscono delle sue vecchie frasi ("la scienza non è democratica", "i somari non votano in laboratorio"), lui si rinchiude nella sua newsletter, dove l'ignoranza non entra, a meno che non abbia Visa o Mastercard. Resta un mistero come mai chi per un decennio ha combattuto gratuitamente la buona battaglia contro le fake news improvvisamente scopra che il proprio verbo ha un valore monetizzabile. Forse l'intelligenza artificiale non è l'unico algoritmo che ha imparato qualcosa in questi anni. 
Chissà se gli mancheranno i suoi nemici naturali: i no-vax, i terrapiattisti, i commentatori seriali che lo accusavano di essere al soldo di Big Pharma. Forse sì, perché in fondo ogni eroe ha bisogno del suo antagonista. E un Burioni senza "coglioni" da rintuzzare potrebbe soffrire di nostalgia o addirittura astinenza da flame. E così, mentre i "somari maleducati" continueranno a ragliare liberamente nei pascoli gratuiti dei social, chi vorrà ascoltare le verità burionesche dovrà aprire tirar fuori gli sghei. Perché la scienza, come ci insegna questa parabola moderna, è sacra. Ma il paywall è più sacro ancora.