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Sostenibilità in evoluzione: come cambia l’investimento ESG

di Michele Morra, Portfolio Manager di Moneyfarm
 
Sostenibilità in evoluzione: come cambia l’investimento ESG
L’entusiasmo per gli investimenti sostenibili che aveva caratterizzato i primi anni 2020 sembra essersi gradualmente affievolito, complici le performance eccezionali di settori come difesa e combustibili fossili e la complessità della nuova regolamentazione europea in materia ESG.

Se, infatti, con l’inizio della guerra in Ucraina nel 2022, l’impennata dei prezzi delle materie prime aveva portato alla sovraperformance delle società legate ai combustibili fossili, più di recente sono stati oro e difesa a dominare i mercati. Nonostante le tensioni geopolitiche sembrino aver distolto l’attenzione dell’opinione pubblica dalla sostenibilità, però, il settore ha visto un’evoluzione positiva, segnata da metodologie di investimento più sofisticate e da un quadro complessivo più credibile.

Anzitutto, è bene premettere che oggi esistono tre categorie principali di investimenti ESG: i cosiddetti “ESG screened”, che, partendo da un indice di mercato tradizionale, escludono le aziende coinvolte in controversie sociali o operanti in settori critici; quelli “Orientati al clima”, che seguono i requisiti minimi dell’Unione Europea per gli investimenti climatici, includendo benchmark come "Paris Aligned" (PAB) e "Climate Transition" (CTB); e, infine, gli “Investimenti Socialmente Responsabili” (SRI), che si concentrano sulla gestione dei rischi di sostenibilità adottando un approccio “best-in-class”, includendo solo i titoli con i rating ESG più elevati e spesso applicando criteri aggiuntivi. Queste etichette, tuttavia, non bastano a garantire uniformità e di frequente si osservano discrepanze sostanziali tra i singoli ETF all’interno di una stessa famiglia. Anche dal punto di vista dei rendimenti le differenze sono significative: confrontando le performance di diversi ETF ESG su azionario americano da inizio anno al 1° ottobre, i risultati spaziano da una perdita di circa il 10% fino a un guadagno di circa il 6%, con una variabilità del rischio – misurata in termini di volatilità – superiore di quasi un punto percentuale nei casi più estremi.

Analizzando le varie categorie, gli ETF SRI mostrano in media le performance più deboli e disomogenee, mentre gli ETF screened e quelli active, caratterizzati da una gestione più discrezionale rispetto all’indice di riferimento, tendono a registrare risultati migliori.
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