Era il 17 febbraio del 1965, un pomeriggio come tanti, eppure destinato a scolpirsi nella memoria collettiva come l’inizio di una rivoluzione culturale, un battito nuovo che riecheggiava nei cuori di una gioventù in cerca di ribellione e libertà. In via Tagliamento, a Roma, nasceva infatti il Piper: non un semplice locale, ma un crocevia di destini, un santuario della trasgressione e della creatività, un luogo che ben presto si sarebbe elevato a leggenda. Giancarlo Bornigia, il suo fondatore e patron indiscusso, diede vita a una realtà che andava oltre il concetto stesso di discoteca per diventare un vero e proprio laboratorio culturale, dove l’arte, la musica e la moda non venivano seguite, ma create. Qui, il confine tra cronaca e mito si dissolve, lasciando spazio a un’aura di magia che ancora oggi affascina e ammalia. Le pareti del Piper hanno assistito a tutto. Dalla chiusura improvvisa nei primi giorni di vita – per via della presenza in sala di un giovane frequentatore d’eccezione, il figlio del ministro dell’Interno dell’epoca – alle piperine, ragazze che, tra le mura del locale, si trasformavano in icone vestendosi in clandestinità con quelle gonne audaci che avrebbero segnato un’epoca. E poi, un anno dopo l’inaugurazione, il debutto di un astro destinato a brillare per sempre: Patty Pravo, l’enigmatica e magnetica artista che con la sua voce e il suo stile irripetibile avrebbe definito un’intera generazione. “Ragazzo triste, come me, ah-ah...”, cantava lei, e con quelle note nasceva un’epoca. Frequentato da personaggi già celebri o in procinto di diventarlo, il Piper si impose come il punto di incontro di un’irripetibile élite creativa. Qui ballavano e si perdevano tra le note del beat e del rock giovani anime inquiete come Loredana Bertè e Renato Zero, Gianni Boncompagni e Renzo Arbore. Qui, sotto le luci psichedeliche, s’incrociavano gli sguardi di Stefania Rotolo e Caterina Caselli, Romina Power e Mia Martini, Luigi Tenco e Raffaella Carrà. E come in un quadro visionario, anche il cinema e il teatro si fondevano alla musica: Anna Magnani, Mastroianni, Gassman, Fellini; e poi Clint Eastwood, Jane Fonda, fino a giganti della musica internazionale come Jimi Hendrix, i Pink Floyd, i Genesis. Ma il Piper non fu solo musica e volti celebri. Fu arte, estetica, un luogo dove persino le pareti raccontavano storie conferendo al locale un’aura cosmopolita, un’allure sospesa tra l’avanguardia e il sogno. Oggi, a sessant’anni dalla sua nascita, il Piper non è solo un ricordo. È un simbolo di un'epoca irripetibile, che ha fatto della ribellione e della creatività il suo vessillo. E il 17 febbraio, come allora, quella musica tornerà a risuonare in una festa che sarà sì celebrazione, ma anche un po’ nostalgia: dolce abbraccio al tempo che fu. Perché certi luoghi non smettono mai di esistere: continuano a vivere nei battiti di chi ne ha fatto parte e ne ha diffuso la leggenda. Come Davide Bornigia, che seguendo le orme del padre, mantiene viva la leggenda di quella che è a tutti gli effetti un’icona del costume e della musica italiana.
Partiamo dall’inizio: come nasce il Piper?
«Gli ideatori sono stati mio padre Giancarlo Bornigia, Alberigo Crocetta e Piergaetano Tornielli. Alberigo era il direttore artistico con mille idee, mio padre era quello addetto alla finanza e Piergaetano era un grande amico di tutti e due, quindi un tuttofare».
Cosa ricorda di quegli anni?
«Che casa mia era un viavai di persone, perché una parte venne adibita ad ufficio di rappresentanza e si invitava a prendere il te a questi personaggi che venivano».
Tipo chi?
«Calcola che Patty Pravo mia madre la vestiva ogni tanto, ed era una scoperta di Crocetta. Questa è una cosa che sanno in pochi. Era appena diciottenne, e molto bella. Poi mi ricordo di Rita Pavone, perché mi piaceva tanto da bambino con la sua “Pappa col pomodoro”. Una volta mio padre mi portò al Piper e quando lei attaccò a cantarla, mi indicò: per il figlio di Giancarlo… Una vergogna, con tutto il Piper che si girò verso di me».
Il Piper è legato soprattutto al mondo della musica. E però c’era anche tanta arte…
«Sì, alle pareti del Piper c’erano alcuni quadri di Mario Schifano, che era un amico sia di Alberigo che di mio padre. Poi andò in America, ed ebbe un successo strepitoso».
Qual è stato l’elemento innovativo che più di tutti ha contraddistinto il Piper?
«All’epoca è stato il cambiamento di costume. Dalla classica borghesia col capello corto, calzoncini e scarpette è nato il capello lungo, lo stivale e viva gli hippie. E poi sconvolse proprio una generazione, si passò alle minigonne. Le ragazze uscivano che erano delle borghesi poi arrivavano al Piper, andavano in bagno e si cambiavano mettendosi le minigonne e sciogliendosi i capelli. Molti per esempio non sanno che il Piper aveva un negozio di abbigliamento, che era molto innovativo per l’epoca, fu il primo negozio hippie d’Italia. Si passava da una balconata di sinistra, e ci si trovava dentro il negozio. Se vedi il film “Totò yeye” lo vedi proprio il negozio, perché fu girato interamente nel club. E’ un film che pochi conoscono, e lì capisci veramente cosa fu il Piper».
Ci può raccontare qualche aneddoto di rilievo?
«Ce ne sono davvero tanti. Il più eclatante fu quando passando davanti al Piper vidi la porta aperta. E lì mi è preso un colpo. Si parla di quindici, sedici anni fa. All’interno c’erano tutti i piperini degli anni Sessanta, centinaia di persone, con Renato Zero che ballava. Avevano fatto un raduno all’insaputa di tutti, mio padre lo sapeva e gli altri no. Un vero e proprio raduno per i collettoni dell’epoca, quelli che ballavano e portavano le camicie bianche con i colletti molto lunghi. Renato era molto legato al Piper, ha fatto anche un album doppio, “Via Tagliamento”. Il trio fisso era Mimì Martini, Loredana Bertè e Renato. Pensa che quando l’anno scorso c’è stato l’anniversario della morte di Mimì ho trovato fuori dal Piper un mazzo di fiori enorme con una lettera di uno sconosciuto, che ho ancora da qualche parte, che parlava della sua arte immensa e sottolineava che era giusto ricordarla proprio lì. Una bella cosa, mi ha colpito molto. E non lo sa nessuno, sei la prima giornalista che lo sa. La verità è che il Piper è stata una grande officina di talenti. Perché tutti quelli che sono passati per il Piper sono diventati famosi. Evidentemente all’epoca c’era tantissimo da dire. Parliamo della Caselli, Mina, Pino Daniele, Rita Pavone, Lucio Battisti, Lucio Dalla, i Genesis, anche Jimi Hendrix ha suonato al Piper. Io ho delle foto di Jimi Hendrix all’interno del Piper… Tutti, ci sono passati tutti da qui. Molti poi io manco li so, pure David Bowie ha suonato qua nel 1987».
Cosa resta dell’eredità del Piper? E come festeggerà i suoi primi 60 anni?
«I sessant’’anni li festeggia con una grande festa per cinquecento persone. La serata prenderà il via con gli Anima di Roma, poi ci sarà la presentazione del libro “Piper Club” di Corrado Rizza, già autore di un documentario sullo storico locale. E poi ovviamente tanta musica live con Alberto Laurenti e tanti altri ospiti. E un gran finale in pista con i migliori DJ di sempre. Per quanto riguarda l’eredità, noi non facciamo più musica dal vivo da tempo perché produrre la musica dal vivo in proprio senza finanziamenti è quasi impossibile. L’Auditorium ha le sovvenzioni dello Stato, noi no e come imprenditori non ce la facciamo proprio con i numeri. Perché il problema è che ormai le produzioni costano, e non rientriamo mai. Non siamo più strutturati per fare concerti, è cambiato il mondo. Comunque il Piper oggi è una discoteca a tutti gli effetti, ogni tanto facciamo qualcosa di culturale, anche se è molto poco, ma ora io mi batterò per fare qualcosa in più. Perché della cultura ne abbiamo tutti bisogno».
Ma la materia prima, parlo degli artisti, ci sono?
«Ci sono quelli bravi e quelli meno bravi, anche se oggi è tutta uguale la musica. Prima qualcosa ti rimaneva in testa. Però ci sono dei cantautori bravi come all’epoca, alla fine la storia si ripete, magari è musica che il grande pubblico non sente. Però c’è».
E sarebbe bello, aggiungiamo noi, sentirli magari proprio al mitico Piper.
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IL PIPER CLUB COMPIE 60 ANNI
Il 17 febbraio 2015, a partire dalle 22.00, una maratona di 8 ore tra musica live, video storici e Dj Set per festeggiare mezzo secolo di Storia del tempio italiano del BEAT. Ore 22.00 apertura e benvenuto con musica e video d’archivio. Ore 22.30 spettacolo live “C’era una volta il Piper...” con orchestra diretta da Alberto Laurenti, i successi beat e non solo. Ore 00.30 Dj Set Twist and Shout / 50’s – 60’s
INGRESSO GRATUITO
Piper Club, Via Tagliamento 9 - Roma