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Open Arms: il braccio di ferro tra i giudici di Palermo e Salvini finisce direttamente in Cassazione

Redazione
 
Open Arms: il braccio di ferro tra i giudici di Palermo e Salvini finisce direttamente in Cassazione

Con una mossa che può anche apparire sorprendente (ma che non lo è, in effetti, più di tanto), la Procura di Palermo, dopo la prima assoluzione, ha deciso di proseguire nella sua azione mirata a vedere riconosciute le responsabilità penali di Matteo Salvini nella vicenda della mancata concessione dello sbarco di migranti soccorsi in mare dalla nave Open Arms del 2019.

Open Arms: il braccio di ferro tra i giudici di Palermo e Salvini finisce direttamente in Cassazione

Lo ha fatto investendo, piuttosto che la corte d'appello, come poteva apparire scontato, direttamente la Cassazione, nella consapevolezza che i primi giudici non hanno contestato la ricostruzione storica dell'accaduto, quanto la nebulosità che circonda le norme internazionali in materia.

Insomma, per essere più chiari, l'assoluzione in primo grado di Salvini non è stata fatta considerando non accertate le circostanze che avevano portato al suo rinvio a giudizio, quanto il fatto che il quadro normativo (italiano e anche internazionale) non consente di dare ai comportamenti del vicepremier (ed all'epoca ministro degli Interni) un profilo penalmente rilevante.

Insomma, Salvini ha fatto qualcosa, ma, alla luce del quadro di incertezza che circonda le leggi in materia, non è detto che, per questo, sia da condannare. Da qui la decisione di ''saltare un giro'' e andare direttamente in terza istanza, chiedendo alla Cassazione di pronunciarsi, quindi, in punto di diritto.

Cosa che significa che, dato per scontato che l'accaduto è stato interamente verificato (il divieto di sbarco per 147 migranti, con la conseguente accusa anche di sequestro di persona a carico di Salviin), si deve parlare se e come le decisioni di Salvini siano state in linea con lo spirito delle leggi.

Il vicepremier, alla notizia, ha replicato con durezza, dicendo: ''Ho fatto più di trenta udienze, il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo''.

Una reazione di pancia, giustificata, dal punto di vista umano, ma che poco considera le motivazioni alla base dell'iniziativa della Procura che, nel ricorso per Cassazione, scrivono che ''la sentenza in esame si rivela manifestamente viziata per l'inosservanza di quella serie di norme integratrici, quali quelle sulla libertà personale e le Convenzioni sottoscritte dall'Italia per il soccorso in mare di cui il tribunale avrebbe dovuto tenere conto nell'applicazione della legge penale''.

Cosa potrebbe, quindi, accadere?
Due le strade possibili: mancato accoglimento del ricorso, che di fatto chiuderebbe la vicenda sul fronte giudiziario; accoglimento dello stesso ricorso, col processo che tornerebbe in corte d'appello, ma solo per pronunciarsi sui contenuti della decisione dei supremi giudici in materia di principi di diritto.

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