Economia

Poste-Tim: verso il nuovo gigante italiano delle telecomunicazioni?

di Barbara Bizzarri
 

Con un fatturato aggregato di oltre 28 miliardi di euro, l’eventuale integrazione tra Poste Italiane e Tim darebbe vita a un nuovo colosso nazionale nei settori delle telecomunicazioni e dei servizi digitali. La nuova entità, frutto dell’unione tra l’ex monopolista delle telecomunicazioni e il principale operatore nei servizi finanziari e postali, disporrebbe di una base clienti di oltre 34,6 milioni di utenti mobili e di una rete di oltre 12.700 sportelli fisici, garantendo una capillarità territoriale senza precedenti in Italia.

Secondo un report del Centro studi di Unimpresa, l’operazione potrebbe concretizzarsi attraverso una joint venture per la telefonia mobile o mediante una graduale fusione degli asset, in modo da tutelare la solidità finanziaria di Poste. L’entità combinata conterebbe su oltre 167.000 dipendenti e un’offerta integrata che spazierebbe dalla telefonia ai servizi digitali, dalla logistica ai pagamenti elettronici, candidandosi a diventare un player strategico per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione.

Dal punto di vista finanziario, la nuova realtà erediterebbe da Tim un Ebitda di 5,7 miliardi di euro e una rete domestica che genera ricavi per 11,9 miliardi di euro, mentre Poste Italiane apporterebbe un Ebit record di 2,62 miliardi e una posizione finanziaria più solida. La fusione potrebbe generare economie di scala attraverso la razionalizzazione dei costi operativi e l’integrazione delle infrastrutture digitali e fisiche. Il principale nodo da sciogliere rimane il debito di Tim, pari a 25,7 miliardi di euro, che rappresenta una delle sfide più rilevanti dell’operazione.

«L’operazione, che potrebbe ricevere il rapido via libera del governo e delle autorità regolatorie nelle prossime settimane, segnerebbe una svolta epocale nel panorama delle telecomunicazioni italiane, dando vita a un operatore nazionale con la forza di unire innovazione e capillarità territoriale. L’ipotesi di un’operazione tra Tim e Poste Italiane presenta elementi di interesse industriale, ma anche rischi finanziari e regolatori non trascurabili», commenta Giovanna Ferrara, presidente di Unimpresa.

Il settore delle telecomunicazioni in Italia sta attraversando una fase di consolidamento: dopo la recente aggregazione tra Fastweb e Vodafone Italia, il mercato si interroga sulle prossime mosse dei principali operatori. Tim, con la cessione della rete fissa al fondo KKR, ha completato la trasformazione in una società di servizi, mentre Poste Italiane, già presente nel settore con Poste Mobile, continua a diversificare la propria offerta espandendosi nei servizi digitali e logistici.

I dati finanziari più recenti evidenziano una situazione contrastante tra le due aziende. Tim ha chiuso il 2023 con ricavi per 16,3 miliardi di euro, di cui 11,9 miliardi derivanti dalle attività domestiche, e un Ebitda in crescita del 5,7%, ma con una perdita netta di 1,1 miliardi di euro e un debito ancora elevato. Poste Italiane, invece, ha registrato un fatturato di circa 12 miliardi di euro, un Ebitda in forte espansione e una redditività elevata, sostenuta da una generazione di cassa solida e una capacità di investimento senza i vincoli di un elevato indebitamento.

L’operazione presenta vantaggi potenziali, ma anche criticità. Poste potrebbe rafforzare la propria presenza nel settore telecom, trasformando Poste Mobile da operatore virtuale a provider con infrastruttura propria. L’integrazione godrebbe del favore del governo, che considera strategico il settore delle telecomunicazioni, e Poste potrebbe contribuire alla stabilizzazione finanziaria di Tim, garantendo sostenibilità industriale a lungo termine. Tuttavia, il peso del debito di Tim rimane un nodo cruciale: Poste dovrà valutare con attenzione i rischi finanziari prima di qualsiasi operazione.

A livello industriale, l’integrazione potrebbe portare a una razionalizzazione dei costi operativi e a un’ottimizzazione della rete di vendita. Poste Italiane, con i suoi oltre 12.700 sportelli, potrebbe diventare un canale privilegiato per la distribuzione dei servizi di Tim, riducendo la necessità di investire in punti vendita monomarca. Il debito di Tim, tuttavia, resta l’ostacolo principale. Per evitare di compromettere la solidità finanziaria di Poste, l’operazione potrebbe assumere la forma di una joint venture nel settore mobile, piuttosto che una fusione completa.

L’impatto occupazionale rappresenta un ulteriore elemento di valutazione. Tim impiega attualmente 47.180 persone, mentre Poste Italiane conta circa 120.000 dipendenti. Qualsiasi ipotesi di aggregazione dovrà essere attentamente valutata per evitare sovrapposizioni e possibili esuberi.

La creazione di un colosso tra Poste e Tim modificherebbe in modo significativo il panorama delle telecomunicazioni italiane, con una base clienti più ampia, economie di scala e sinergie industriali: il successo della potenziale operazione dipenderà dalla capacità di integrare due realtà con modelli di business differenti, senza mettere a rischio la stabilità finanziaria e la sostenibilità del nuovo gruppo.

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