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Ofi Invest AM: I tre fattori che hanno sostenuto (e sosterranno) le economie emergenti
di Jean-Marie Mercadal, CEO di Syncicap AM (partecipata Ofi Invest)

Nonostante un contesto internazionale complicato e l’incertezza politica ed economica, l’azionario dei mercati emergenti ha performato bene nel primo semestre del 2025, soprattutto nel caso della Cina. Sembra che gli investitori abbiano ignorato le minacce di dazi più elevati sulle importazioni degli Usa e sembrano già guardare oltre.
Dopo aver registrato un forte aumento della volatilità a seguito del cosiddetto “Liberation Day”, si può osservare che la performance YoY dei mercati emergenti appare generalmente positiva. L’indice MSCI China All Share è cresciuto del 10%, mentre l’EM Asia Ex-China del 5%; infine, l’MSCI Emerging Market sta registrando una performance del 14% (dati aggiornati al 10 giugno 2025).
Questo quadro positivo è in contrasto con il persistente clima di incertezza odierno, tanto che è ancora difficile fare qualsiasi tipo di previsione futura, soprattutto sul fronte degli accordi commerciali e soprattutto ora che Trump ha annunciato tariffe del 30% sull’Ue, ma a partire dal 1° di agosto, lasciando ancora la porta aperta per un accordo in extremis. Inoltre, il deterioramento delle finanze pubbliche statunitensi sta pesando sempre di più sull’obbligazionario e, sul fronte equity, i tassi di lungo periodo americani sono un fattore chiave per la stabilità. Infine, per quanto riguarda la geopolitica, la guerra in Ucraina continua con nessuna reale prospettiva di un cessate il fuoco all’orizzonte.
Ma quindi la resilienza dei mercati emergenti è dovuta solo al fatto che sono il “meno peggio” tra le opzioni disponibili? O ci sono altri fattori a supporto di questi asset? Noi di Ofi Invest riteniamo che sia vera la seconda ipotesi, tanto che di questi fattori ne abbiamo individuati tre.
Il primo riguarda proprio il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che, da quando è tornato alla Casa Bianca, ha costretto molte nazioni a rivedere le loro priorità. Ciò è particolarmente vero in Europa, dove si sono intensificati gli sforzi in materia di difesa e commercio, dopo le posizioni prese da Washington. Un esempio lampante di ciò è quanto è accaduto in Germania, dove sono state allentate le regolamentazioni sul debito nazionale, così da poter investire in difesa e infrastrutture dopo decenni di assoluto rigore. Per quanto riguarda la Cina, ha investito ancora di più per raggiungere prima l’obiettivo di ridurre la sua dipendenza dal commercio con gli States, che già era stato annunciato in occasione della prima amministrazione Trump. Per raggiungerlo, Pechino ha rafforzato i suoi accordi commerciali con altri paesi asiatici, con l’Europa e, soprattutto, con il Medio Oriente, un’area chiave, in quanto i cinesi possono esportarvi tecnologia green in cambio di petrolio. Tuttavia, il Dragone asiatico non sta solo differenziando le sue esportazioni, ma sta anche spingendo per accrescere la domanda interna. Il prossimo piano quinquennale (2026-2031) lo mostra chiaramente: si parla di aumentare gli investimenti in capitale umano e di accrescere le infrastrutture per raggiungere l’indipendenza in aree chiave. Inoltre, recentemente è stato lanciato l’ambizioso “Metrology Plan”, il quale prevede lo sviluppo di 20 fabbriche di livello mondiale per la produzione di 100 componenti essenziali in settori quali l'intelligenza artificiale, la robotica in miniatura, i semiconduttori e le tecnologie quantistiche. Infine, investendo in ricerca e università, la Cina cerca di attrarre un gran numero di talenti, soprattutto quelli che hanno lasciato gli Usa.
Il secondo fattore è uno slancio del settore tecnologico che non ha precedenti. Non solo la Cina, ma molti altri player stanno investendo come mai prima d’ora in segmenti come l’AI, la robotica, le biotecnologie e le energie rinnovabili. Queste innovazioni, le cui applicazioni sono praticamente illimitate, possono trasformare il nostro stile di vita, le nostre economie e anche i nostri modelli produttivi. Su questo ultimo punto, tali tecnologie potrebbero accrescere enormemente la produzione e spingere la crescita potenziale delle economie più avanzate. Pertanto, esse costituiscono un motore per i mercati finanziari nonostante l’incertezza attuale e gli investitore sembra lo abbiano capito.
Il terzo fattore sono le valutazioni azionarie, che oggi appaiono relativamente convenienti, soprattutto in Cina. Ciò ha attirato l’attenzione degli investitori internazionali che, a partire dalla fine della crisi del 2008, hanno adottato la strategia vincente di esporsi fortemente agli asset statunitensi. Oggi, i flussi di investimento stanno premiando le azioni cinesi, un paese che può anche contare su risparmi interni per un ammontare pari al 110% del Pil secondo HSBC. Di questi, il 70% sono anche investiti in conti bancari a termine e rappresentano la fetta maggiore della ricchezza finanziaria e non immobiliare delle famiglie. Con il continuo calo dei tassi di interesse, una quota crescente di questi risparmi potrebbe essere reindirizzata verso i mercati azionari nazionali, tanto che HSBC prevede ulteriori afflussi di circa 100 miliardi di dollari nel mercato azionario di Hong Kong. Questo anche perché le azioni detenute da famiglie cinesi sono a un livello storicamente basso: 10% odierno contro il 15% del 2021 e il 20% del 2010. Infine, le obbligazioni dei mercati emergenti in valuta locale sono aumentate del 9,7% in dollari, nonostante il considerevole aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi; inoltre sembrano ben posizionate nell'attuale contesto macroeconomico e il mercato sta iniziando a scontarlo. L'indice dei debiti emergenti denominati in valute forti, nel frattempo, è aumentato di quasi il 3,5%.