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Moody’s declassa il debito Usa: manteniamo la prudenza

A cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm*
 
Moody’s declassa il debito Usa: manteniamo la prudenza

 La scorsa settimana, l’agenzia di rating Moody’s ha declassato di un livello – su una scala di 21 – il rating del debito statunitense, che è passato da AAA a AA1. Un giudizio che rappresenta un segnale importante, anche perché molti investitori sono tenuti a considerare i rating di agenzia nelle loro scelte di investimento, e che potrebbe avere un impatto più rilevante delle attese. Va ricordato che non si tratta del primo declassamento della storia del debito statunitense: già S&P e Fitch avevano privato gli Stati Uniti del rating massimo, rispettivamente nel 2011 e nel 2023, e in entrambi questi casi gli investitori avevano per lo più ignorato i downgrade, senza influenzare in modo significativo i rendimenti obbligazionari.

 

Questa volta, però, la decisione di Moody’s arriva in un momento in cui il debito pubblico statunitense è già sotto i riflettori dei mercati per diverse ragioni e dopo l’annuncio si è assistito a un aumento del costo del debito per il governo. Nel corso degli ultimi 25 anni, infatti, il deficit del bilancio federale si è notevolmente deteriorato, portando a un incremento del debito pubblico totale in percentuale del Pil, come emerge dal grafico sotto, che mostra anche le attuali previsioni del Congressional Budget Office, secondo cui il rapporto debito/Pil continuerà a crescere anche nei prossimi decenni.

Ma se, in passato, il deficit tendeva ad aumentare nei periodi di recessione e di disoccupazione al rialzo, negli ultimi anni ha continuato ad ampliarsi anche a fronte di un’economia solida, evidenziando alcune delle sfide strutturali che il governo Trump si trova ad affrontare (vedi grafico sotto, che mette a confronto il deficit annuale con il tasso di disoccupazione e i periodi di recessione). 

Da considerare anche la componente di spesa pubblica legata agli interessi del debito: tra il 2009 e il 2020, con i tassi ai minimi, il debito pubblico è aumentato, ma le spese per il pagamento degli oneri sono rimaste contenute, mentre dal 2021 in poi i costi di servizio del debito sono aumentati bruscamente. Il Congresso è attualmente impegnato nel dibattito sull’approvazione del bilancio proposto dalla nuova amministrazione, che prevede il mantenimento – se non l’aumento – del deficit annuale nel medio termine.

 

Ad ogni modo, le carte in tavola erano note già da tempo e gli investitori sono finora riusciti a guardare oltre queste fosche previsioni, concentrandosi sui dati positivi di un’economia ampia, ricca e in crescita, oltre che sullo status del dollaro come valuta di riserva globale. Gli Stati Uniti non sono di certo l’unico Paese gravato da un elevato rapporto debito/Pil, anche se, tra tassi d’interesse elevati, deficit fiscali persistenti e incertezza politica, gli investitori sembrano oggi richiedere rendimenti più elevati per acquistare debito pubblico americano.

Nel complesso, la notizia del declassamento operato da Moody’s rafforza la nostra visione prudente: nei prossimi mesi, l’attenzione dei mercati potrebbe concentrarsi maggiormente sui conti pubblici a livello globale, dagli Stati Uniti all’Europa, all’Asia, dove, per esempio, il Giappone ha registrato una risalita dei rendimenti obbligazionari nel corso delle ultime settimane. In termini di portafogli, avevamo già ridotto l’esposizione ai titoli di Stato Usa a lunga scadenza, preferendo strumenti a breve termine denominati in euro. Al momento proseguiamo in questa direzione, continuando a monitorare l’universo investibile alla ricerca di nuove opportunità.

 

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