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L&G: La fine dell’eccezionalismo americano
di Tim Drayson, Head of Economics di L&G

Il nuovo ordine che si verrà a creare, per quanto la strada per raggiungerlo possa essere dura, potrebbe portare a un equilibrio maggiore e più salutare nell’asset allocation
Gli Stati Uniti godono di vantaggi immensi, generati da un mercato domestico che vale circa 30 trilioni di dollari; ma oggi che gli investitori stanno rivalutando i loro asset americani viene da chiedersi se la più grande economia al mondo riuscirà a mantenere l’eccezionalismo che l’ha contraddistinta negli ultimi anni.
Ad oggi, il sistema di libero scambio vigente negli Usa incoraggia l’innovazione e l’imprenditoria, grazie a un mercato dei capitali in grando di fornire alti finanziamenti e con università d’elite che attraggono talenti da tutto il mondo. Non bisogna poi dimenticare la loro leadership in ambito tecnologico, essendo la casa delle maggiori imprese al mondo; inoltre, hanno un accesso facilitato e a basso costo alle risorse energetiche, che li rende praticamente indipendenti da questo punto di vista, detengono una valuta che è la riserva mondiale per antonomasia e hanno una potenza militare che non ha eguali.
Tutte quanto visto sopra ha dato modo agli Usa di attrarre ingenti flussi di capitali, ma il fatto di essere il paese che emette la valuta considerata la riserva globale genera anche un paradosso. In termini aritmetici, gli afflussi netti di capitali devono essere compensati da un disavanzo delle partite correnti e comportare l'accumulo di passività verso l'estero. Questo squilibrio, per quanto sia il risultato dei punti di forza intrinseci dell'economia statunitense, se protratto per lunghi periodi di tempo crea una fonte di vulnerabilità.
In particolare, il duplice deficit delle partite correnti e fiscale è dovuto allo status di valuta di riserva del dollaro, ma rischiano anche di indebolire gli States se si supera il punto di massimo entusiasmo per gli asset locali e da gennaio 2025 a oggi gli investitori sono diventati sempre più dubbiosi circa la politica interna del paese. Infatti, l’amministrazione Trump si è posta una serie di priorità, alcune delle quali sono in contrasto tra loro. Un esempio è ovviamente l’intenzione di ridurre il disavanzo della bilancia commerciale e il taglio delle tasse, che potrebbe aumentare la domanda e, di conseguenza, le importazioni. Al tempo stesso, non si è ancora capito se i dazi sono usati come mero strumento di contrattazione per ottenere condizioni più favorevoli, un modo per aumentare i ricavi o una strategia per riportare la produzione all’interno dei confini. Tuttavia, se è vero che per ripristinare la competitività del manifatturiero Usa, i prezzi dei beni importati dovranno necessariamente aumentare, al tempo stesso questo aumento potrebbe spingere al rialzo l’inflazione e aggiungere pressione sui tassi d’interesse. Non è un caso se il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha affermato recentemente che, senza dazi, i tassi sarebbero già stati tagliati.
In tutto questo, ci sono investitori stranieri che hanno iniziato a mettere in dubbio la posizione degli Stati Uniti come leader globale, il loro impegno nelle istituzioni internazionali e, in generale, tutta l’architettura che hanno sviluppato negli ultimi 70 anni. Inoltre, sono anche emerse preoccupazioni circa la volontà di aumentare il potere dell’esecutivo e l’erosione dell’indipendenza di alcune istituzioni dalla politica. Con il Congresso che sta perdendo la sua influenza nelle dinamiche locali, il sistema dei pesi e contrappesi sembra sempre più in mano alla magistratura. Un esempio è la recente sentenza in cui si ribadisce l’indipendenza della Fed, che ha rassicurato i mercati.
Questo bisogno di mantenere un sentiment positivo sui mercati è molto importante per un paese come gli Stati Uniti, in cui la finanza gioca un ruolo centrale. Il fatto che i mercati finanziari siano molto estesi è un fattore positivo, ma ciò rende gli States particolarmente sensibili all’umore degli stakeholder. Abbiamo già assistito a una reazione negativa del mercato, che alla fine ha attenuato i dazi più estremi annunciati il "Liberation Day". Sebbene gli Stati Uniti abbiano goduto di un'enorme flessibilità nell'attuare la politica fiscale per compensare gli shock, questa potrebbe essere al limite.
È difficile capire esattamente quando e quale sarà il fattore scatenante che spingerà il mercato obbligazionario a imporre la disciplina a Washington, ma un deficit del 6-7% del Pil in un'economia in piena occupazione rappresenta un punto di partenza debole. Se si aggiungono l'aumento degli esborsi per interessi e la pressione sulla spesa pubblica obbligatoria derivante dall'invecchiamento della popolazione, è chiaro che la politica fiscale è su un percorso insostenibile, con Moody's che prevede un aumento del rapporto debito/Pil dal 98% dello scorso anno al 134% entro il 2035. Per questo, nel breve periodo ci aspettiamo un rallentamento della crescita dovuto all’aumento dei prezzi causato dai dazi, una riduzione dei redditi reali e un contesto che porterà a un calo degli investimenti aziendali.
In conclusione, per continuare a sostenere l’eccezionalismo statunitense – sia in termini di performance, sia di prezzo degli asset – dovremo assistere a un’adozione e integrazione dell'uso dell'intelligenza artificiale come innovazione in grado di aumentare la manodopera (e potenzialmente di sostituirla). Oggi, gli Stati Uniti sembrano nella posizione migliore per accogliere questo balzo in avanti in ambito tecnologico; se sarà sufficiente a controbilanciare le pressioni al ribasso sulla crescita è la domanda fondamentale per il futuro.
Se gli Usa saranno ancora la principale destinazione per i capitali mondiali anche in futuro è ancora tutto da vedere, anche perché esponenti dell’attuale amministrazione hanno affermato che il paese ha attratto troppi capitali verso troppo pochi asset e per troppo tempo. Questi policymaker non intendono solamente abbassare il deficit della bilancia commerciale, ma anche applicare imposte dirette sul capitale estero e sebbene la sezione 899 sia stata rimossa dal “Big Beautiful Bill”, approvato pochi giorni fa, la preoccupazione su come si riposizioneranno i flussi futuri è ancora alta.
Non c'è dubbio che gli investitori stranieri stiano iniziando a valutare attentamente la propria esposizione agli Stati Uniti, a seguito degli ultimi sei mesi. L'esposizione agli indici azionari globali presenta già un rischio di sovraconcentrazione del 60-70%. Detto questo, è evidente che la quota totale di asset statunitensi detenuti da investitori stranieri sia sostanzialmente inferiore, attestandosi in media al 10-20%. Tuttavia, gli allocatori globali di capitali adotteranno probabilmente un approccio quantomeno più cauto verso gli States. Strutturalmente, l'Unione Europea e il Regno Unito sembrano poter essere i principali beneficiari, soprattutto perché l'aumento della spesa per la difesa accresce i deficit e quindi la necessità di afflussi di capitali.
Per i mercati statunitensi, l'ipotesi è che una variazione relativamente modesta negli acquirenti marginali potrebbe comportare premi di rischio più elevati e una riduzione del rialzo – certamente difficile da quantificare – di cui hanno beneficiato rispetto al resto del mondo. In tal caso, il riassetto futuro, per quanto complesso, potrebbe in ultima analisi portare a un più sano equilibrio nell'allocazione del capitale, in cui capitale e rendimenti siano ripartiti in modo più uniforme.