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Kairos Partners Sgr - Market Flash di martedì 25 novembre 2025

di Alberto Tocchio, head of Global Equity and Thematics
 
Kairos Partners Sgr - Market Flash di martedì 25 novembre 2025
Ci eravamo lasciati con un messaggio di prudenza: era il momento di mettere il portafoglio in modalità “resistenza”, perché nelle ultime settimane non stavamo vedendo solo segnali di insofferenza e volatilità, ma un mercato che si stava complicando rapidamente, con indicatori macro contrastanti e rotazioni settoriali e fattoriali sempre più frequenti. Avevamo detto che bisognava abbassare le vele e prepararsi a un mare più mosso… ed è esattamente ciò che è accaduto.

Le correzioni sono arrivate, e come spesso succede oggi, sono state feroci non tanto sugli indici, quanto sui temi più affollati: il fattore Momentum — cioè il basket dei titoli migliori degli ultimi 12 mesi — in poche settimane ha perso circa il 25% dai massimi. Il mondo crypto non è andato meglio: Bitcoin segna -10% da inizio anno dopo un -35% in appena due settimane.

Giovedì scorso lo S&P 500 ha aperto in rialzo, spinto dai risultati di Nvidia pubblicati la sera precedente, ma durante la seduta ha perso il 3,5%; il Nasdaq 100 è arrivato a perdere il 5%, con i volumi più alti dai tempi del “liberation day” di aprile. Tutto questo in un mercato in cui lo spread bid-offer si è addirittura ridotto: segno chiaro che il problema non era il panico, ma la mancanza di liquidità. I fondi sistematici erano ai massimi di esposizione, gli investitori retail pieni di leva tramite ETF e derivati come mai prima, e il livello di cash degli asset manager era ai minimi di vent’anni. Appena la volatilità si è alzata, tutti hanno dovuto tagliare posizioni in fretta.

A tutto questo si sono aggiunti i timori di una Fed più hawkish, i tassi giapponesi in salita, i dubbi sempre più forti sulla circolarità della spesa AI e le crepe nella catena del credito. In alto, perché gran parte del capex AI è finanziato a debito; in basso, perché aumentano insolvenze e fallimenti. Il risultato è stato l’ingresso in una fase di mercato più incerta, ma anche più ricca di opportunità, in cui lo stock picking torna centrale.
Sul fronte Fed le minute sono state chiaramente restrittive: molti membri del FOMC non vogliono tagliare i tassi. Il mercato del lavoro, intanto, manda segnali contrastanti: i Payrolls sono usciti sopra le attese, ma non riflettono ciò che sta succedendo nelle ultime settimane. E per la prima volta con un tasso di disoccupazione poco sopra il 4%, vediamo un aumento della disoccupazione concentrato tra i più giovani. Le probabilità di un taglio dei tassi a dicembre sono crollate fino al 25% quando il dato NFP di novembre è stato rimandato dopo il meeting della Fed… e poi sono risalite al 65%. Un mercato nervoso, che si muove in modo violento a ogni spostamento di narrativa.

Ma la parte più interessante — e più delicata — riguarda il tema AI, che negli ultimi giorni ha mostrato tutta la sua fragilità. I CDS di Oracle e SoftBank sono volati, portando l’attenzione sul rischio che l’ecosistema AI sia più levato e più dipendente dal credito di quanto si pensasse. È tornato al centro anche il concetto di “circular financing”: operazioni in cui aziende come Nvidia, Microsoft e Anthropic finanziano indirettamente la domanda dei propri prodotti. Un meccanismo sostenibile finché c’è euforia e liquidità abbondante, ma che diventa rischioso quando iniziano le domande su cash flow, ritorni effettivi e sostenibilità del modello.

I numeri di Nvidia hanno alimentato ulteriori dubbi: cash flow operativo a 14,5 miliardi contro 19,3 di utile netto — un rapporto del 75%, quando molti concorrenti sono vicini al 100%. I crediti commerciali sono saliti a 33 miliardi, con un DSO a 53 giorni, sette in più rispetto alla media storica. Gli inventari sono aumentati del 30% nonostante una domanda definita “insane”. L’azienda resta incredibilmente profittevole, ma il mercato ha percepito una mancanza di chiarezza proprio sui punti critici: ritorni dei data center, qualità degli utili, sostenibilità del debito e rischio di saturazione della supply chain.

E qui arriviamo al cuore del discorso: quanto l’economia americana sia ormai dipendente dall’AI. La risposta è semplice: tantissimo. L’AI è diventata una forza macro di portata storica. Produce circa l’1% della crescita prevista del PIL 2025 e, secondo molte stime, tra il 70 e il 75% della crescita attuale del PIL viene proprio dal boom di data center, chip, infrastrutture elettriche e rete. Il settore AI–data center è ormai una super-industry da 400 miliardi di dollari, simile — per impatto — all’automotive degli anni Sessanta o al petrolio degli anni Ottanta. E lo stesso vale sui mercati: dal 2022, il 75–80% delle performance dell’S&P 500 dipende direttamente o indirettamente dall’AI.

Questo è positivo finché la narrativa rimane intatta. Ma il rischio sistemico non è nullo: le famiglie americane hanno tra 45 e 47 trilioni di dollari in azioni. Una correzione del 30% cancellerebbe circa 15 trilioni di ricchezza, con un impatto sui consumi tra il 2 e il 2,5% — abbastanza per generare una recessione. Non è lo scenario centrale, ma è un rischio da monitorare con attenzione.

Per ora, però, il quadro macro resta solido, la stagione degli utili è stata eccellente e il mercato sembra più in una fase correttiva tecnica che in un vero cambio di regime. Ma il messaggio è chiaro: l’AI non è una bolla che scoppierà domani, ma un tema che si deve allargare, ripulire e redistribuire. E questa correzione, pur dolorosa, potrebbe essere il punto di partenza per un mercato più equilibrato e meno dipendente da pochi nomi.

Anche in Europa il quadro continua a essere tutt’altro che semplice. Le economie del continente stanno mandando segnali contrastanti: i PMI restano deboli, i dati sul retail sono deludenti e il consumatore rimane prudente. E poi c’è la Germania, che vive una sorta di déjà-vu inquietante: sei anni senza crescita, una produzione industriale in caduta costante, competitività erosa dai costi energetici elevati e una produttività in netto peggioramento. Le misure fiscali del governo hanno riacceso un po’ di ottimismo tra le imprese, ma senza una vera Agenda 2030 — riforme sul mercato del lavoro, sull’energia, sulle pensioni — il Paese rischia di rivivere la stagnazione dei primi anni 2000, con la differenza che oggi manca il vento di coda della globalizzazione che all’epoca aveva rimesso in moto la macchina tedesca.
In parallelo, anche il consumatore americano — quello reale, al di sotto dei dati aggregati — mostra una frattura profonda. L’economia degli Stati Uniti non si muove più in modo uniforme: si è trasformata in una curva a K. La parte alta, composta da ricchi e Baby Boomers, continua a sostenere i consumi grazie ai forti guadagni finanziari e all’accumulo di asset liquidi dal 2020 in avanti. La parte bassa, che rappresenta l’80% della popolazione, vive invece con risparmi ridotti e una capacità di spesa sempre più fragile. I Millennials sono forse il simbolo più evidente di questa tensione: hanno più patrimonio nominale delle generazioni precedenti, ma quasi tutto concentrato nella prima casa, con pochissima liquidità disponibile e un livello di debito in crescita. Così, anche se la domanda aggregata sembra solida, in realtà poggia su un numero sempre più ristretto di consumatori ad alta ricchezza — ed è proprio questa concentrazione che rende l’intero sistema vulnerabile a un eventuale shock del mercato azionario.

Intanto, anche il mondo delle crypto ha attraversato un vero crollo: Bitcoin ha cancellato tutti i guadagni dell’era Trump, mentre l’oro ha segnato nuovi massimi, spinto dalle banche centrali che continuano a diversificare per protezione. Con l’ingresso degli ETF, il settore delle criptovalute è diventato un mercato più maturo, ma anche molto più esposto ai flussi istituzionali e al ritmo altalenante della regolamentazione americana: da un lato il Genius Act già approvato, dall’altro il Clarity Act ancora bloccato in Congresso.

In mezzo a queste incertezze, però, non mancano elementi positivi. L’earning season è stata sorprendentemente forte, con una crescita degli utili del 15% anno su anno e un ampliamento della crescita a sei settori oltre alla tecnologia. È un segnale importante, perché suggerisce la possibilità di rotazioni più sane e una partecipazione di mercato più ampia. E, storicamente, dopo correzioni violente come quella appena vista, non è raro osservare rimbalzi significativi, soprattutto verso la fine dell’anno.

In sintesi, ci troviamo chiaramente all’interno di una fase di transizione. L’AI non è una bolla destinata a esplodere da un momento all’altro, ma è diventata un tema troppo concentrato, troppo affollato e troppo carico di aspettative. Ora serve una fase di pulizia, di ri-allocazione e di normalizzazione, che potrebbe finalmente riportare attenzione su settori rimasti ai margini — dalle utilities al farmaceutico, fino all’industria pesante — proprio perché anche l’AI, per continuare a crescere, ha bisogno di energia, materiali, capacità produttiva e infrastrutture. È una trasformazione reale e destinata a durare, ma che richiederà un equilibrio diverso da quello visto negli ultimi mesi. E, come sempre, i mercati stanno facendo quello che hanno sempre fatto: riportare le valutazioni su livelli più sostenibili, eliminare gli eccessi e preparare il terreno per il prossimo ciclo, che con ogni probabilità prenderà forma nel 2026.

Nel frattempo, nelle prossime settimane continueremmo a mantenere un’impostazione prudente nei portafogli: al di là dei rimbalzi tecnici, è plausibile che il processo di correzione non sia ancora del tutto concluso. E proprio per questo, la volatilità potrebbe rappresentare un’occasione per iniziare a costruire esposizioni in un mercato finalmente più ampio e più equilibrato rispetto a quello visto quest’anno.
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