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Kairos Partners SGR - Market Flash di martedì 1 luglio 2025
di Alberto Tocchio, head of Global Equity and Thematics

Siamo entrati nella seconda metà dell’anno dopo sei mesi davvero intensi, in cui le politiche di Trump, unite alle tensioni geopolitiche, hanno avuto un impatto enorme a livello globale. Questi fattori hanno generato diversi shock per gli investitori, eppure – sorprendentemente – le performance dei principali indici sono state ottime. L’unico asset negativo da inizio anno è stato il petrolio, in calo dell’8%, mentre il dollaro ha perso l’11%.
Parlando di azionario, l’S&P 500 ha appena toccato nuovi massimi, anche se con una partecipazione piuttosto ristretta e multipli non certo economici: stiamo parlando di un indice che scambia a 24 volte gli utili. A sostenere questo movimento c’è il dominio globale degli Stati Uniti nei settori Tech e Intelligenza Artificiale, che stanno aiutando l’azionario americano a recuperare terreno rispetto ad altre aree geografiche, dopo un inizio d’anno tutt’altro che semplice.
A prima vista, sembrerebbe tutto piuttosto stabile: indici positivi tra il 3% e il 20%, volatilità ai minimi su azioni e obbligazioni, e spread sul credito molto compressi. Ma non dimentichiamo che ad aprile abbiamo vissuto una delle correzioni più rapide e violente degli ultimi decenni. E da allora, l’S&P 500 è salito di quasi il 30% – un recupero quasi da record in così poco tempo.
Il posizionamento iniziale ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale in questo movimento. A novembre dello scorso anno, l’entusiasmo per le elezioni aveva spinto l’S&P 500 a registrare la sua miglior performance mensile da anni, e gli Stati Uniti avevano battuto l’Europa come non accadeva da decenni. Poi però è iniziato un recupero europeo, che si è interrotto bruscamente a giugno, con un rientro dei flussi verso gli USA.
Oggi, la rottura al rialzo degli indici americani si è verificata con una concentrazione estrema: le prime 10 società dell’S&P pesano quasi il 40% dell’intero indice. I semiconduttori stanno diventando sempre più centrali, con prezzi record. Il paniere di titoli più esposti al tema AI è salito di quasi il 100% dai minimi di aprile. Eppure, molti settori del mercato USA restano negativi da inizio anno, alcuni anche a doppia cifra.
Il dollaro, nel frattempo, ha vissuto i suoi peggiori sei mesi da 40 anni, e l’atteggiamento più accomodante della Fed rischia di esercitare ulteriori pressioni. Questo resta uno dei temi centrali per i mercati globali. E, nonostante tutto, il posizionamento sull’azionario USA resta più scarico rispetto a quello sull’Europa. Ma riusciranno davvero gli Stati Uniti a continuare questo recupero?
Per rispondere, dobbiamo analizzare alcune variabili chiave. In primis, la geopolitica: molti si sono stupiti nel vedere i mercati salire nonostante i bombardamenti USA in Iran. Il prezzo del petrolio è addirittura più basso ora rispetto all’inizio del conflitto. Questo perché sia gli USA che l’Iran hanno voluto evitare un’escalation: l’attacco americano ha causato danni ma nessuna vittima, così come la risposta iraniana, con 14 missili su basi in Qatar. Da allora è stato accettato un cessate il fuoco non ufficiale. Netanyahu ha distolto l’attenzione dalla crisi di Gaza, mentre l’Iran ha evitato un cambio di regime e ha tenuto aperto lo stretto di Hormuz, nonostante il Parlamento avesse votato per la chiusura.
Importante anche quanto ottenuto da Trump al vertice NATO: minacciando un disimpegno militare, ha ottenuto dai partner l’impegno ad alzare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2035 – un obiettivo che solo poche settimane fa sembrava irraggiungibile.
Poi c’è la questione del “Big Beautiful Bill”, il pacchetto fiscale che Trump punta a far approvare alla Camera e poi al Senato. Per farlo, il suo team ha chiesto l’eliminazione della Section 899, una norma che avrebbe tassato gli investimenti esteri in USA e che preoccupava non poco gli investitori. Trump sperava di incassare 116 miliardi da quella tassa, ma è riuscito comunque a strappare oltre 100 miliardi di dollari di accordi durante il G7. Missione compiuta.
E infine, guardiamo alla Germania: il piano di riforma fiscale appena annunciato sta avendo un impatto evidente. I titoli domestici tedeschi stanno performando in linea con le sorprese economiche positive, e l’euro si sta rafforzando grazie ai flussi in entrata sull’azionario. I dati macro, dai PMI alle misure di sentiment, sono in crescita. Il piano di investimenti annunciato il 24 giugno porterà il deficit vicino al 4%, ma libererà fondi per rilanciare l’economia, con un forte impatto su PIL e re-rating di interi settori – compreso il più grande piano green della storia tedesca.
Parliamo ora di macroeconomia, perché ci sono stati sviluppi importanti negli Stati Uniti. Il PIL è stato rivisto al ribasso nella terza lettura, con segnali di consumi in contrazione e prezzi ancora solidi. Nonostante questo, la Fed di Atlanta stima, comunque, una crescita trimestrale del 3,4%. Ma il mercato è in attesa: mancano ancora dati chiave su lavoro e inflazione che tengano conto del cosiddetto "Liberation Day" sui tassi.
Nel frattempo, le richieste di sussidi di disoccupazione stanno aumentando più del previsto, la fiducia dei consumatori continua a peggiorare e il settore immobiliare mostra segni di cedimento. A maggio, le vendite di case nuove sono crollate del 14%, a conferma delle difficoltà legate ai tassi ipotecari elevati.
Trump, che da tempo chiede tagli ai tassi da parte della Fed, è riuscito almeno a ottenere un cambio di tono: nella sua ultima audizione al Congresso, Powell ha mostrato un’apertura a possibili tagli dopo l’estate. E i mercati ora scontano già la possibilità di un primo taglio entro questo mese, con almeno altri due entro fine anno. Una visione più “dovish” che è condivisa anche da altre banche centrali europee: la Norvegia ha sorpreso con un taglio, e la Svizzera ha aperto all’ipotesi di tassi negativi.
Il risultato? Il dollaro si è indebolito ulteriormente e la curva dei rendimenti si è irripidita: la parte breve inizia a prezzare i tagli, mentre quella lunga riflette aspettative inflazionistiche più alte, soprattutto se il piano fiscale americano sarà davvero ambizioso.
E parlando di dazi, la scadenza del 9 luglio per la fine della sospensione dei 90 giorni si avvicina. Ma sembra che qualcosa si stia muovendo: Germania e Italia stanno spingendo per un accordo commerciale tra l’UE e gli USA, sul modello di quello già siglato con il Regno Unito. Anche se i dazi restassero al 10%, verrebbe percepito come un successo, considerando dove eravamo prima dell’era Trump.
Alcuni funzionari americani parlano già apertamente di una possibile proroga della sospensione. Nel frattempo, però, gli Stati Uniti stanno beneficiando delle entrate fiscali dai dazi, al punto che Trump potrebbe iniziare a considerarli più uno strumento fiscale che industriale.
In Europa, invece, si cominciano a fare i conti con un euro sempre più forte, che pesa sui profitti delle aziende e sulla loro competitività. E sullo sfondo si profila una potenziale crisi politica in Francia: il governo è instabile, e il voto sul bilancio in autunno potrebbe provocarne la caduta. Il debito pubblico francese è ormai al 114% del PIL, il doppio rispetto a 30 anni fa.
Dopo lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale da parte di Macron lo scorso anno, i mercati obbligazionari si sono calmati, ma la borsa francese ha sofferto, soprattutto per la debolezza dei titoli legati all’export, come il lusso, più penalizzati dalle tensioni commerciali con la Cina che dai rischi politici interni.
Una nuova elezione anticipata è improbabile, ma con un contesto macro debole — come confermato dai PMI di giugno — e un bilancio complicato da gestire, i mercati francesi rischiano di rimanere sotto pressione.
Con questo scenario, la corsa dei mercati ha portato a un aumento del posizionamento da parte degli investitori. Ora è decisamente più alto rispetto a inizio anno, ma non ancora eccessivo come a febbraio, quando i prezzi erano simili a quelli attuali.
Lo S&P 500 oggi scambia a circa 24 volte gli utili attesi per quest’anno e tra 20 e 22 volte quelli stimati per il 2026 — un bel salto rispetto ad aprile, quando l’indice era intorno a quota 4.800 e gli investitori molto più cauti.
Insomma, anche se i mercati sono su livelli elevati, in assenza di eventi rilevanti, si presume che il trend rialzista possa proseguire, spinto dalle aspettative di stimoli fiscali e monetari nel 2026.
Ma attenzione: se i dati macro inizieranno a peggiorare in modo evidente, la narrativa potrebbe cambiare. I prossimi dati su PPI e CPI saranno cruciali: inflazione sui beni, consumi e redditi in calo, anche nei servizi… potrebbero essere segnali che qualcosa sta cambiando.
Per ora, niente panico. Il mercato sembra ancora in fase rialzista, con volatilità ai minimi. Ma il macro resta l’unico vero campanello d’allarme da tenere d’occhio nei prossimi mesi.