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Buoni pasto, dal primo settembre scatta il tetto alle commissioni: non oltre il 5%

di Redazione
 
Buoni pasto, dal primo settembre scatta il tetto alle commissioni: non oltre il 5%
Il mondo dei buoni pasto si prepara a una svolta destinata a cambiare equilibri e rapporti all’interno di una filiera che coinvolge milioni di lavoratori, migliaia di imprese e centinaia di migliaia di esercizi commerciali. Dal primo settembre 2025 entrerà infatti in vigore il limite massimo del 5% alle commissioni applicate dalle società emettitrici alle aziende private per l’accettazione dei ticket. Una misura prevista dal Ddl Concorrenza, approvato a fine 2024, che va a incidere su un meccanismo a lungo criticato da esercenti e grande distribuzione per i margini troppo penalizzanti. Il tetto, già operativo per i nuovi voucher dal 1° gennaio 2025, sarà ora esteso anche ai buoni già in circolazione e agli accordi stipulati in precedenza. Un passaggio non scontato, introdotto grazie a un emendamento presentato dall’onorevole Silvio Giovine (FdI), che aveva previsto un periodo transitorio per consentire al settore di adeguarsi. Le società emettitrici, dal canto loro, mantengono la possibilità di recedere dai contratti con i committenti, cioè i datori di lavoro che distribuiscono i ticket ai propri dipendenti. Fino a oggi, le commissioni potevano arrivare addirittura al 20% del valore del buono, un costo che si scaricava lungo tutta la catena: dal datore di lavoro al dipendente, fino al ristoratore o al supermercato. Non sorprende, quindi, che a spingere per una revisione normativa fossero state in primo luogo le grandi catene della distribuzione, stanche di reggere un sistema giudicato sproporzionato rispetto ai benefici. La riforma uniforma ora il settore privato a quanto già avveniva nella Pubblica Amministrazione, dove il tetto massimo del 5% era in vigore da tempo. Secondo i dati diffusi da Anseb, l’associazione che riunisce le società emettitrici, il comparto dei buoni pasto coinvolge oltre 3,5 milioni di lavoratori in Italia, con una rete di circa 170mila esercizi convenzionati e 100mila aziende che riconoscono i voucher come strumento di welfare aziendale. Non solo ristoranti e bar, ma anche supermercati e mense aziendali: un ecosistema che, a fronte della nuova regola, rischia ora di ridefinire rapporti e convenienze.

Proprio da Anseb arriva il giudizio più duro contro la riforma. L’associazione sostiene che l’imposizione di un tetto del genere sia “contraria ai principi di libera determinazione dei prezzi sanciti dal diritto italiano ed europeo” e che fissare limiti contrattuali per legge “mina l'autonomia delle aziende private nel realizzare prezzi competitivi”. Non solo. L’associazione avverte che, con il nuovo meccanismo, le imprese che acquistano i buoni rischiano di vedersi trasferire costi aggiuntivi stimati in circa 180 milioni di euro l’anno, pari a un aggravio del 6%. A rincarare la dose, il presidente Matteo Orlandini, che già in fase di approvazione aveva lanciato l’allarme: “Oltre alla fine del mercato libero dobbiamo constatare che la proposta dell’emendamento Giovine è del tutto insostenibile nei tempi e nei modi di attuazione. Il nostro obiettivo ora è garantire la continuità degli accordi in essere e la tutela dei buoni pasto: senza queste condizioni per le società emettitrici sarà impossibile la gestione di oltre 300mila accordi, con immediate conseguenze sulla fruibilità dei buoni”, dice. Di tutt’altro tono le reazioni delle associazioni di categoria dei pubblici esercizi, che da anni lamentavano commissioni troppo elevate. Per Giancarlo Bancheri, presidente di Fiepet Confesercenti, l’introduzione del tetto è un “risultato importante” perché “pone fine a un sistema che scaricava sugli esercenti oneri sproporzionati e insostenibili”. La riduzione delle commissioni, aggiunge Bancheri, avrà effetti positivi non solo per bar e ristoranti, ma anche per i consumatori: “Meno costi per le imprese significa più disponibilità ad accettare i ticket, più concorrenza e più benefici per i clienti”. Secondo le stime di Fiepet, il risparmio complessivo per gli imprenditori potrebbe toccare i 400 milioni di euro annui, una cifra che in un settore già provato dal calo dei margini rappresenterebbe una vera e propria boccata d’ossigeno. Non manca però un avvertimento: “Non possiamo permettere che il risparmio ottenuto venga vanificato da modifiche unilaterali dei contratti, come l’allungamento dei tempi di pagamento”, sottolinea Bancheri, invitando le istituzioni a vigilare affinché le società emettitrici non aggirino la norma. Anche Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, accoglie con favore la misura definendola “un grande traguardo” perché garantisce l’efficacia del buono pasto come strumento di welfare senza penalizzare i lavoratori: “Oggi le piccole imprese pagano fino al 20% di commissioni. Con il nuovo tetto si riducono sensibilmente i costi, senza intaccare il valore dei buoni”. Più prudente la posizione di Coop, che pur giudicando la riformaequilibrata e capace di dare una nuova prospettiva a questo strumento di welfare”, non nasconde perplessità sui tempi dilatati dell’entrata in vigore: “L’unico rammarico è l’eccessiva dilazione che mal si concilia con le istanze delle imprese distributive che più volte abbiamo rappresentato al governo”, dice.
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