Il 7 ottobre 2023 rimarrà impresso nella memoria collettiva come il giorno in cui l'orrore ha superato ogni limite immaginabile. Oltre 1.200 vite spezzate, 250 persone rapite, tra cui bambini, anziani e disabili, famiglie distrutte in un inferno di violenza orchestrato da migliaia di terroristi di Hamas. Le immagini di quella tragedia hanno fatto il giro del mondo, lasciando un solco indelebile nella coscienza umana.
7 ottobre 2023, Kinocidio: il crimine senza nome che ha spezzato l’umanità
Eppure, oggi, un rapporto di 79 pagine pubblicato dalla Commissione Civile sui Crimini del 7 Ottobre, rivela un aspetto ancor più atroce di questa barbarie: la strategia sistematica di annientamento delle famiglie, un nuovo crimine contro l'umanità, battezzato con un nome destinato a entrare nella storia dell'orrore: kinocidio.
Il termine è stato coniato dal dottor Cochav Elkayam-Levy in collaborazione con il Raoul Wallenberg Center for Human Rights, sotto la guida di Irwin Cotler, ex ministro della giustizia canadese. "Non esisteva una parola per descrivere questa forma di brutalità: la distruzione mirata del nucleo familiare come arma di guerra", ha dichiarato al Jerusalem Post Elkayam-Levy.
Perché se il genocidio, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite del 1948, è il tentativo di eliminare un gruppo etnico, religioso o nazionale, il kinocidio attacca invece il cuore pulsante di ogni comunità: la famiglia. Questo non si limita a uccidere, ma usa i legami familiari per infliggere il massimo dolore possibile, trasformando l'affetto in una leva di tortura psicologica e fisica. La volontà dietro questo crimine è quella di annientare non solo gli individui, ma il loro senso di appartenenza, la loro eredità e la loro memoria collettiva.
Il rapporto, frutto di mesi di indagini e raccolta di prove da parte della Commissione Civile, ha esaminato video, fotografie, messaggi, testimonianze e dati investigativi. Gli atti di disumanità documentati sono sconvolgenti: madri costrette a guardare l'omicidio dei propri figli, genitori uccisi di fronte ai loro bambini, famiglie intere massacrate nelle loro case. In un caso emblematico, un gruppo di terroristi ha fatto irruzione in una casa dove si stava festeggiando il diciottesimo compleanno di una ragazza: la festa si è trasformata in un bagno di sangue, mentre gli assassini filmavano e trasmettevano in diretta l'orrore.
Un altro caso straziante riportato nel dossier riguarda una madre costretta a scegliere quale dei suoi figli dovesse morire per primo. Scene di tale brutalità non solo devastano i diretti interessati, ma lasciano cicatrici profonde anche nei sopravvissuti, nei testimoni e nelle generazioni future.
Il kinocidio non è solo un massacro fisico: è una distruzione psicologica mirata, pensata per instillare un dolore insopportabile, per disumanizzare le vittime e per cancellare la speranza stessa. “Siamo stati testimoni di una crudeltà senza precedenti. Le uccisioni non erano solo esecuzioni, erano atti studiati per infliggere il massimo dolore possibile”, ha affermato Elkayam-Levy, sottolineando che “L’obiettivo non era solo sterminare, ma spezzare l'anima di intere comunità”.
C’è da dire che il kinocidio non è un evento isolato. Episodi simili si sono verificati in Ruanda, Bosnia, Siria, Iraq, Myanmar e Ucraina, ma fino a oggi mancava un termine giuridico per definirli. "Dare un nome a questo crimine è il primo passo per combatterlo. Finché non viene riconosciuto, i responsabili continueranno ad agire impunemente", ha evidenziato Mukesh Kapila, ex consigliere speciale dell'Alto Commissariato ONU per i diritti umani.
Sheryl Sandberg, fondatrice di Lean In e produttrice del documentario Screams before Silence, ha dichiarato: "Il 7 ottobre Hamas ha attaccato il cuore della comunità ebraica: l'unità familiare. Questo crimine non deve mai più ripetersi. Il mondo deve reagire".
Non si tratta solo di dare un nome a un crimine: il riconoscimento legale del kinocidio aprirebbe la strada a nuove misure di prevenzione e punizione. Gli strumenti giuridici attuali, infatti, sono insufficienti per affrontare una forma di violenza così mirata e brutale. Ecco perché le organizzazioni per i diritti umani stanno esercitando pressioni per avviare una revisione delle convenzioni internazionali, con l'obiettivo di far riconoscere il kinocidio come un crimine autonomo. Intanto, il rapporto "Kinocide: The Weaponization of Families" verrà presentato ai più alti organi internazionali, inclusi ONU, Parlamento Europeo e Corte Penale Internazionale.
E nel frattempo la Commissione Civile continua il suo lavoro di raccolta prove, affinando il dossier per future azioni legali. "Abbiamo camminato tra i vetri rotti, tra i giocattoli dei bambini macchiati di sangue. Ogni testimonianza raccolta, ogni immagine analizzata, ogni voce ascoltata è un monito: non possiamo permettere che tutto questo venga dimenticato", ha affermato l'avvocato Merav Israeli Amarant.
Parallelamente, gruppi di esperti stanno lavorando a campagne di sensibilizzazione per informare il pubblico e spingere i governi ad agire: perché la battaglia per il riconoscimento del kinocidio non è solo una questione giuridica, ma una sfida morale per l’intera umanità. "In un'epoca di atrocità di massa, il kinocidio rappresenta una delle più oscure espressioni della brutalità umana. Non è solo un crimine contro una comunità, è un attacco al concetto stesso di umanità", ha affermato l’ex ministro della giustizia canadese Cotler.
Del resto lo sappiamo: la Storia ci insegna che il silenzio è il primo alleato della barbarie. Ecco perché il mondo deve sapere e dare un nome a questa nuova forma di crimine contro l'umanità. Il riconoscimento del kinocidio è il primo passo per spezzare il ciclo dell'orrore e assicurare che nessuna famiglia, in nessuna parte del mondo, debba mai più vivere un incubo simile. È un imperativo morale, una battaglia per la giustizia e per la dignità di ogni essere umano.