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World Media Headlines - Raid russo all’alba su Kiev: edifici colpiti, vittime e incendi in tutta la città

Barbara Leone
 
World Media Headlines - Raid russo all’alba su Kiev: edifici colpiti, vittime e incendi in tutta la città

La guerra in Ucraina torna in primo piano con un nuovo, massiccio attacco russo che all’alba ha colpito Kiev e altre città del Paese. Secondo quanto riferisce AP News, missili e droni hanno provocato quattro morti, innescato incendi e disseminato detriti in diversi quartieri della capitale.

World Media Headlines - Raid russo all’alba su Kiev: edifici colpiti, vittime e incendi in tutta la città

Durante le operazioni di soccorso almeno ventisette persone sono rimaste ferite, come ha confermato Tymur Tkachenko, capo dell’amministrazione militare di Kiev. Il presidente Volodymyr Zelenskyy ha denunciato un’operazione pianificata per massimizzare i danni, spiegando che in tutto il Paese sono stati utilizzati “almeno 430 droni e 18 missili”.

L’attacco ha colpito anche Odessa e Kharkiv, ma è stato soprattutto su Kiev che si è concentrata la pressione russa: i droni e i missili hanno raggiunto anche alcuni grattacieli.
Su Telegram Zelenskyy ha definito l’offensiva “un attacco appositamente calcolato per causare il maggior danno possibile a persone e civili”, aggiungendo che i frammenti di un missile Iskander hanno danneggiato l’ambasciata dell’Azerbaigian. Si tratta dell’attacco più grave contro la capitale nelle ultime tre settimane.

Quindici persone sono state ricoverate, tra cui un uomo in condizioni critiche e una donna incinta, dopo che in città si sono udite numerose potenti esplosioni. In parallelo all’escalation militare russa, l’Ucraina ha intensificato la sua controffensiva prendendo di mira infrastrutture energetiche oltreconfine. Secondo The Guardian, i droni ucraini hanno costretto alla sospensione delle esportazioni di petrolio nel porto russo di Novorossiysk, uno snodo chiave per la vendita delle materie prime energetiche di Mosca.

Due fonti del settore, citate da Reuters, hanno spiegato che si tratta di uno degli attacchi più significativi contro le infrastrutture petrolifere russe degli ultimi mesi, in continuità con la strategia ucraina di colpire le raffinerie per ridurre le entrate che finanziano lo sforzo bellico del Cremlino. Dal canto suo, Mosca continua a negare di prendere di mira obiettivi civili, mentre Kiev respinge categoricamente questa versione. Gli ultimi raid russi hanno infatti interessato infrastrutture elettriche in diverse regioni, una mossa che preoccupa in vista dei mesi invernali. Sul piano diplomatico europeo, intanto, si apre una frattura che tocca direttamente la politica energetica dell’Unione.

Come riporta l’AFP, citata dal Guardian, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha annunciato che il suo governo porterà l’UE davanti alla Corte di giustizia per contestare la decisione, presa lo scorso mese, di eliminare gradualmente le importazioni di gas russo. L’Ungheria, storicamente il partner più vicino al Cremlino tra i Ventisette, continua a dipendere in modo significativo dall’energia russa nonostante l’invasione del 2022. L’accordo per terminare gli acquisti di gas entro fine 2027 ha incontrato il dissenso di Budapest e Bratislava. Orbán ha definito la scelta europea “palesemente illegale e contraria ai valori europei, scelta da Bruxelles per mettere a tacere un governo nazionale che non è d'accordo con essa”, annunciando il ricorso e lasciando intendere di star “cercando altri mezzi non legali” per dissuadere le istituzioni europee, senza però fornire ulteriori dettagli.

Dal fronte mediorientale emergono nuovi elementi a complicare un quadro già fragile. Reuters segnala che Hamas sta consolidando la propria presenza a Gaza mentre, parallelamente, gli Stati Uniti continuano a lavorare a un piano per il futuro amministrativo del territorio. Misure come la regolamentazione del prezzo del pollo o nuove tasse sulle sigarette vengono interpretate come segnali della volontà dell’organizzazione di riaffermare la propria autorità, suscitando diffidenza tra i rivali interni e inquietudine tra i residenti, mentre i negoziati sul dopo-guerra procedono a fatica.
Nel frattempo, sul fronte delle tensioni nucleari, Haaretz riferisce che il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha chiesto alle Nazioni Unite di intervenire con “misure appropriate” contro Stati Uniti e Israele, accusati di essere responsabili degli attacchi di giugno contro i siti nucleari dell’Iran. Araghchi sostiene che il presidente Donald Trump e altri funzionari americani abbiano una “responsabilità penale” alla luce delle recenti dichiarazioni dell’ex presidente, secondo cui sarebbe stato lui ad avere “la responsabilità assoluta” dell’attacco iniziale israeliano del 13 giugno.

In una lettera indirizzata al segretario generale Antonio Guterres e al Consiglio di sicurezza, il ministro iraniano ha ribadito che Washington e Tel Aviv devono affrontare obblighi di riparazione “compresi la restituzione e il risarcimento per i danni causati”. Ha inoltre precisato: “Ciò non pregiudica in alcun modo la responsabilità penale individuale di tutti quegli individui, compresi quelli all'interno del regime israeliano, coinvolti nel comando, nell'ordine, nell'esecuzione o nell'aiuto, nella complicità e in altro modo nell'assistenza alla commissione di crimini di guerra”.

Spostandosi negli Stati Uniti, la CNN riporta un cambio di marcia inaspettato da parte del presidente della Camera Mike Johnson, che ha deciso di accelerare la votazione su un’iniziativa bipartisan volta a rendere pubblici i fascicoli completi relativi al caso Epstein. L’inversione di linea arriva dopo mesi di tentativi, da parte sua e della Casa Bianca, di rinviare un voto potenzialmente esplosivo sul piano politico. Il disegno di legge, promosso dal repubblicano Thomas Massie e dal democratico Ro Khanna, sta guadagnando appoggi trasversali, tanto da preoccupare l’amministrazione Trump. Alcuni esponenti del GOP ammettono che una parte consistente del partito potrebbe allontanarsi dalla posizione dell’ex presidente per sostenere l’iniziativa: “Non ha senso aspettare”, ha detto alla CNN una fonte della leadership repubblicana. Massie punta a ottenere una maggioranza a prova di veto, pari a due terzi della Camera, cioè 290 voti con tutti i membri presenti.

La Casa Bianca è già stata informata della scelta di Johnson: un alto funzionario ha confermato alla CNN che Trump era stato avvertito in anticipo e che “è stato reso chiaro al presidente Trump, e lui capisce che questa è una realtà inevitabile”.

La tensione attorno alla questione è in corso da mesi: Johnson aveva addirittura anticipato la pausa estiva della Camera per evitare il voto, e i negoziati dietro le quinte erano proseguiti fino a questa settimana, quando si è tentato un estremo tentativo di persuasione coinvolgendo due deputate repubblicane favorevoli al provvedimento. Ma ormai, spiegano alcune fonti del GOP, lo slancio è impossibile da fermare. Johnson ha annunciato che porterà il testo al voto finale la prossima settimana, sottolineando che la Commissione di vigilanza della Camera “ha lavorato senza sosta” all’indagine parallela. Se il provvedimento dovesse passare, il suo destino al Senato è incerto: il leader della maggioranza John Thune aveva dichiarato di non ritenerne necessaria l’approvazione, considerando che il Dipartimento di Giustizia ha già pubblicato migliaia di pagine relative al caso.

Infine, il caso che scuote la BBC. L’emittente britannica si è scusata con Donald Trump per una puntata di Panorama del 2024 nella quale parti del suo discorso del 6 gennaio 2021 erano state montate in un modo da dare - ha ammesso l’azienda - “l'errata impressione che il presidente Trump avesse fatto un appello diretto ad azioni violente”. Nonostante le scuse, la BBC ha respinto la richiesta di risarcimento avanzata dagli avvocati dell’ex presidente, che minacciano una causa da un miliardo di dollari se l’emittente non ritirerà le sue versioni precedenti e non offrirà un compenso.

Le conseguenze interne sono state immediate: il direttore generale Tim Davie e la responsabile delle notizie Deborah Turness si sono dimessi domenica. Le scuse pubbliche sono arrivate poche ore dopo un’inchiesta del Daily Telegraph, che aveva rivelato l’esistenza di un secondo filmato modificato in modo simile, trasmesso su Newsnight nel 2022. Nella sezione Correzioni e Chiarimenti diffusa giovedì, la BBC ha ammesso: “Riconosciamo che la nostra modifica ha involontariamente creato l'impressione che stessimo mostrando un'unica sezione continua del discorso, piuttosto che estratti da diversi punti del discorso”.

Gli avvocati dell’emittente hanno scritto al team legale di Trump, e il presidente della BBC Samir Shah ha inviato una lettera personale alla Casa Bianca. La ministra della Cultura Lisa Nandy ha dichiarato a BBC Breakfast che l’azienda sta “affrontando la questione con la serietà che richiede”, pur ammettendo a Radio 4 che gli standard editoriali non sono stati “abbastanza solidi” e non sono stati applicati “in modo coerente”. Intanto il leader dei Liberal Democratici, Sir Ed Davey, ha esortato il premier britannico a “telefonare a Trump” per mettere fine alla minaccia di una causa e “difendere l'imparzialità e l’indipendenza della BBC”.

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