Economia

Nell’era dei giganti, le imprese italiane alla ricerca di ossigeno finanziario

di Redazione
 
Nell’era dei giganti, le imprese italiane alla ricerca di ossigeno finanziario
Nell’epoca del gigantismo finanziario, la vera sfida per le imprese non è più solo innovare o esportare, ma trovare liquidità. È questo il messaggio lanciato da Maurizio Dallocchio (nella foto), Professore di Corporate Finance in SDA e Università Bocconi, nel corso dell’incontro “Idee per la Crescita”, organizzato da Repubblica Affari&Finanza e SDA Bocconi School of Management.

Il quadro delineato da Dallocchio fotografa un mondo economico sempre più sbilanciato, con pochi colossi tecnologici americani che catalizzano gran parte della ricchezza globale. Basti un dato, a fine agosto Nvidia valeva in Borsa quasi il doppio di tutte le società quotate in Germania. Le prime dieci aziende mondiali superano i mille miliardi di dollari di capitalizzazione, sostenute da multipli di fatturato che fino a pochi anni fa sarebbero apparsi irrealistici. Questa concentrazione di potere e interesse ha relegato in secondo piano le imprese tradizionali, riducendo drasticamente il numero di società quotate, in Europa e Nord America si è quasi dimezzato dal 2000.

Nel frattempo, anche le banche europee arrancano. Nessuna figura oggi tra le prime dieci al mondo per capitalizzazione, mentre gli istituti americani e cinesi dominano la scena. La ragione, secondo Dallocchio, è strutturale: le banche statunitensi generano gran parte dei loro profitti da attività non creditizie, mentre in Europa oltre la metà degli attivi è ancora vincolata a prestiti per imprese e famiglie. È un modello che le rende meno attraenti per i mercati e rischia, nel lungo periodo, di tradursi in minore supporto al tessuto produttivo, nel tentativo di inseguire la redditività dei competitor globali.

Come potranno dunque le imprese italiane finanziare la crescita o anche solo la sopravvivenza? Dallocchio indica una duplice strada. Da un lato, serve un maggiore coinvolgimento di fondi pensione, casse previdenziali e assicurazioni, che oggi investono pochissimo nelle aziende italiane pur ottenendo rendimenti medi inferiori all’inflazione. Se non si muoveranno spontaneamente, potrebbero essere spinte da misure legislative. Dall’altro, le imprese dovranno tornare ai mercati, emettendo obbligazioni, strumenti ibridi e, dove possibile, scegliendo la via della quotazione. Solo così potranno restare competitive in un ecosistema finanziario dominato da giganti.

Durante il dibattito moderato da Walter Galbiati, Vicedirettore di Repubblica e responsabile dell’inserto Affari&Finanza, Marco Mariano, Managing Director e Head of Global Corporate Banking Mid Cap di J.P. Morgan, hanno ricordato quanto “le aziende italiane debbano continuare a crescere e a competere nel mercato internazionale, per cui l’assistenza finanziaria continua ad essere vitale”. Nonostante la complessità del quadro globale, Mariano ha sottolineato che i mercati dei capitali restano molto aperti e ricettivi per nuove iniziative di investimento”, segno che la propensione al rischio degli investitori è tutt’altro che esaurita.

Un’analisi condivisa anche da Massimo Ferrini Bronzoni, Partner KPMG e Head of Debt Advisory, che ha definito il momento geopolitico “molto interessante”, ma al tempo stesso caratterizzato da un’incertezza strutturale. Il baricentro del capitalismo globale, ha spiegato, si sta spostando sempre più verso Stati Uniti e Cina, dove i colossi tecnologici possono contare su dimensioni e capitali tali da alimentare investimenti miliardari. È un contesto che rischia di marginalizzare ulteriormente l’Europa e, in particolare, l’Italia, se non saprà rafforzare i propri strumenti di accesso al credito e al mercato dei capitali.
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