Economia

Israele e Iran in guerra ma niente rincari alla pompa mentre le bollette minacciano le imprese italiane

di Demetrio Rodinò
 
Israele e Iran in guerra ma niente rincari alla pompa mentre le bollette minacciano le imprese italiane

A una settimana dall’inizio del conflitto tra Israele e Iran, l’Italia non registra – almeno per ora – alcun impatto significativo sul prezzo dei carburanti. A differenza di quanto accaduto nel 2022 con la guerra in Ucraina, che in pochi giorni fece impennare i listini di benzina e gasolio, il nuovo scenario bellico in Medio Oriente non sembra aver scatenato lo stesso effetto domino sui mercati energetici. Tuttavia, l’allarme resta alto, soprattutto per quanto riguarda le forniture di gas ed energia elettrica, con le imprese italiane esposte a un possibile salasso da quasi 14 miliardi di euro.

Secondo l’Ufficio Studi CGIA di Mestre, i prezzi alla pompa sono addirittura in leggero calo: la benzina self costa attorno a 1,7 euro al litro, il gasolio circa 1,6 euro. Una situazione ben diversa rispetto a quanto avvenne nel marzo 2022, quando il prezzo della benzina superò i 2 euro e il gasolio toccò quella soglia. Allora, nel giro di 15 giorni, la verde salì del 16,9% e il diesel del 23,8%.

Il motivo della differenza? In primis la diversa capacità produttiva: l’Iran contribuisce con 3,8 milioni di barili al giorno alla produzione mondiale, contro gli 11,2 milioni della Russia. Ma anche l’assenza – per ora – di interruzioni nei flussi petroliferi attraverso lo Stretto di Hormuz, da cui passa circa il 30% del greggio mondiale e il 20% del gas.

Tuttavia, gli analisti mettono in guardia: un’escalation militare o la chiusura di questo passaggio strategico potrebbe scatenare un nuovo choc energetico globale.

Sebbene i carburanti siano al momento stabili, l’energia elettrica e il gas rischiano di diventare il vero tallone d’Achille per le imprese italiane. Le proiezioni CGIA stimano infatti un aumento di costi di 13,7 miliardi di euro nel 2025 rispetto al 2024: 9,7 miliardi in più per la luce (+18%) e 4 miliardi per il gas (+25%).

Le stime si basano su un’ipotesi di prezzo medio annuo di 150 €/MWh per l’elettricità e 50 €/MWh per il gas, in linea con le proporzioni medie osservate negli anni precedenti. Ma l’aumento della materia prima non si rifletterà interamente sulla bolletta, dato che incidono anche oneri, tasse, costi di trasporto e margini di fornitura.

Le imprese più colpite dagli aumenti energetici sono concentrate al Nord. Lombardia (+3,2 miliardi), Emilia-Romagna (+1,6), Veneto (+1,5) e Piemonte (+1,2) da sole concentrano il 64% dell’aumento complessivo nazionale. Le regioni meno impattate? Basilicata (+118 milioni), Molise (+64) e Valle d’Aosta (+44).

I comparti più vulnerabili ai rincari sono quelli energivori. Per la luce si tratta di metallurgia, commercio, servizi alla persona, alimentare, hotellerie, trasporti e chimica. Per il gas, le industrie più esposte sono quelle estrattive, alimentari, tessili, cartarie, ceramiche, plastiche, chimiche e meccaniche. Una stangata che potrebbe compromettere la competitività delle filiere più esposte.
 
Gli autori del rapporto mettono le mani avanti: parlare di rincari energetici a 3.500 chilometri dal fronte di guerra può sembrare cinico, ma è necessario per comprendere i riflessi economici su un Paese che ancora fatica a uscire dai postumi della crisi energetica del 2022. L’Italia, pur distante dal teatro del conflitto, resta vulnerabile agli effetti di mercato globali.
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