Economia
Vivere nel 2050: il prezzo invisibile dell’inflazione
Moneyfarm

Le turbolenze degli ultimi cinque anni - tra pandemia, tensioni geopolitiche e guerre commerciali - sembrano indicare che in futuro il costo della vita sarà sensibilmente più alto rispetto a quello di oggi. Analizzando le serie storiche Istat, Moneyfarm, società di consulenza finanziaria con approccio digitale, ha calcolato che i prezzi nel 2050 potrebbero essere cresciuti di oltre la metà rispetto a quelli del 2024. Considerando, infatti, che negli ultimi venticinque anni l’inflazione media si è attestata intorno all’1,9% e che questo valore è sostanzialmente sovrapponibile al target del 2% stabilito dalla BCE, attraverso la capitalizzazione composta risulterebbe un aumento complessivo del costo della vita del +64%. Il conto cambierebbe, e in peggio, se si ampliasse la prospettiva e si prendesse come riferimento l’inflazione media dal 1948 ad oggi, pari al +5,2% su base annua: in questo caso, nel 2050 il carovita toccherebbe il +255% rispetto al 2024.
Vivere nel 2050: il prezzo invisibile dell’inflazione
In base a questi scenari, una semplice tazzina di caffè al bar del valore di 1,20 euro potrebbe arrivare a costare tra 1,97 e 4,26 euro nel 2050, solo per effetto dell’inflazione. Applicando la stessa logica, nel primo caso, ovvero considerando un aumento del +64% del costo della vita, la spesa media di una famiglia italiana passerebbe dagli attuali 2.128 euro a 3.491 euro al mese, con un incremento complessivo di 16.356 euro all’anno. Nel secondo caso, prendendo come riferimento un aumento del +5,2% del costo della vita, la stessa spesa media mensile arriverebbe a sfiorare i 7.560 euro, con un delta di oltre 65.000 euro su base annuale.
Certo, occorre ricordare che l’andamento generale dei prezzi nel tempo è caratterizzato da un’elevata variabilità: tra il 1973 e il 1984, ad esempio, l’inflazione è cresciuta di oltre il 10% su base annua, senza contare i record toccati nel 1980 (+21,1%), nel 1974 (+19,4%) e nel 1981 (+18,7%). Per questo, prendere come benchmark delle medie “parziali” è un esercizio che va svolto con cautela, anche se ciò che appare chiaro è sicuramente la tendenza del costo della vita ad aumentare nel tempo, come dimostra il fatto che, in soli cinque degli ultimi 77 anni si sia registrata un’inflazione negativa, l’ultima volta nel 2020 (-0,3%).
La crescita dei prezzi si può dunque considerare come un dato di fatto, che i risparmiatori possono gestire ma non eliminare. Tra i soggetti maggiormente tutelati contro l’aumento dell’inflazione ci sono i pensionati: ad oggi, per gli assegni pensionistici fino a 2.394 euro lordi – cioè fino a quattro volte il trattamento minimo – la rivalutazione annuale è pari al 100%. Per gli importi superiori la percentuale scende al 90% (tra le quattro e le cinque volte il trattamento minimo) e al 75% (oltre le cinque, a partire dai 2.993 euro lordi al mese). Per i lavoratori, invece, l’adeguamento degli stipendi all’inflazione non è garantito e i dati raccolti sono contrastanti: se, da un lato, il rapporto Inapp mostra un aumento dei salari reali dell’1% tra il 1991 e il 2023, dall’altro, uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro segnala che, a differenza della maggior parte dei paesi del G20, l'Italia si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo, con un calo dell’8,1% in termini di potere d’acquisto tra il 2008 e il 2024. È inoltre importante puntualizzare come l’inflazione percepita possa discostarsi anche significativamente dall’inflazione media utilizzata come parametro per la rivalutazione: nel caso in cui la prima superi la seconda, il potere d’acquisto reale si riduce, penalizzando soprattutto le categorie di consumatori più deboli, come ad esempio i pensionati, che, data l’età avanzata, godono di una limitata capacità di integrazione delle loro fonti di reddito e sono più esposti ai rincari di beni essenziali come farmaci o utenze.
Per combattere il carovita e cercare di compensare, almeno in parte, l’aumento dei prezzi, una possibilità è quella di investire i propri risparmi: secondo gli ultimi dati Istat, gli italiani riescono ad accantonare il 9% delle proprie entrate, il che, considerando una retribuzione lorda di 37.302 euro annui per lavoratore, pari a circa 2.000 euro netti per tredici mensilità, si traduce in 2.340 euro risparmiati ogni anno. Denaro che, lasciato fermo sul conto corrente, sarebbe inevitabilmente esposto all’azione erosiva dell’inflazione, tanto che, dei 2.340 euro messi da parte nel 2000 e poi depositati in banca per venticinque anni, oggi rimarrebbero solo circa 1.450 euro in termini di potere d’acquisto, con una perdita certa del -38%. Se, però, la stessa cifra fosse stata investita in una linea obbligazionaria governativa europea, si sarebbe compensata l’inflazione e si sarebbe ottenuto un ulteriore +9%; con l’investimento nei mercati azionari, invece, oltre al recupero dell’inflazione si sarebbe più che raddoppiato il potere di acquisto (+106%).
Davide Cominardi, Investment Consultant Manager di Moneyfarm di Moneyfarm (in foto), ha commentato: “Anche se l’inflazione dovesse rimanere intorno al 2%, il livello target stabilito dalla BCE, nel 2050 i prezzi potrebbero crescere di oltre la metà rispetto al 2024. Ma la storia insegna che periodi con inflazione ben più elevata non sono affatto rari: tra gli anni Settanta e Ottanta, l’Italia ha vissuto fasi con aumenti annui a doppia cifra e, più recentemente, il +8,1% registrato nel 2022 ha ricordato livelli che non si vedevano dal 1986. In un’epoca segnata da incertezza e volatilità come quella che stiamo attraversando, la crescita dei prezzi agisce come una tassa invisibile sui nostri risparmi e l’investimento diventa la strada obbligata per chi desidera conservare il proprio potere d’acquisto, una forma di autodifesa finanziaria con cui proteggere il proprio capitale e i propri obiettivi di vita. Naturalmente, l’investimento nei mercati finanziari non è privo di incognite e ognuno, a seconda del momento in cui agisce, andrà incontro a dinamiche diverse, ma il rischio più sottovalutato è proprio quello di non fare nulla e vedere il frutto del proprio lavoro svalutarsi nel tempo”.