L’eliminazione degli acconti fiscali per le piccole e medie imprese potrebbe trasformarsi in uno stimolo senza precedenti per l’economia italiana, liberando risorse per circa 54 miliardi di euro, oltre il 3% del PIL, da destinare a investimenti, assunzioni e innovazione. È quanto emerge da una simulazione elaborata da Unimpresa, che quantifica l’impatto della misura in termini di crescita economica e solidità finanziaria delle aziende.
Secondo Unimpresa eliminare gli acconti fiscali libererebbe 54 miliardi per la crescita delle PMI
Attualmente le PMI versano anticipi d’imposta medi annui pari a 5.000 euro per le microimprese, 35.000 per le piccole e 150.000 per le medie. L’abolizione di questi acconti consentirebbe alle imprese di disporre di liquidità immediata, migliorando la gestione di cassa e riducendo la dipendenza dal credito bancario. Secondo le stime, le microimprese tratterrebbero circa 21,5 miliardi di euro, le piccole 17,5 e le medie 15 miliardi, generando complessivamente un flusso di liquidità pari a 54 miliardi.
L’effetto macroeconomico sarebbe considerevole, ogni euro immesso nel circuito produttivo delle PMI genera un moltiplicatore del PIL compreso tra 1,2 e 1,5. Questo significa che i 54 miliardi liberati si tradurrebbero in una crescita economica tra 64 e 81 miliardi di euro, pari a un incremento del prodotto interno lordo di circa il 3-4%. Gli investimenti privati aumenterebbero tra 16 e 27 miliardi e la misura potrebbe favorire fino a 100.000 nuovi posti di lavoro.
“Si tratterebbe di una riforma strutturale a impatto positivo e sostenibile per i conti pubblici, che non ridurrebbe le entrate ma ne sposterebbe solo la tempistica, restituendo ossigeno a quasi 5 milioni di imprese italiane. Non è un condono, ma un intervento che modernizza il sistema tributario e lo allinea ai cicli reali dell’economia”, ha spiegato Marco Salustri, consigliere nazionale di Unimpresa (in foto).
Il vantaggio si estenderebbe anche alla struttura finanziaria delle imprese, con una riduzione del fabbisogno di credito a breve termine stimata in 45 miliardi e un miglioramento dei rating di affidabilità compreso tra 0,3 e 0,5 punti. I costi per interessi calerebbero tra 0,4 e 0,8 punti percentuali, con un risparmio complessivo per il sistema delle PMI tra 2,1 e 3,5 miliardi di euro l’anno.
Un ulteriore effetto positivo riguarderebbe la semplificazione amministrativa. L’abolizione degli acconti permetterebbe alle imprese di risparmiare tra 2,4 e 7,3 miliardi di euro all’anno in consulenze e adempimenti, oltre a circa 40-60 milioni di ore di lavoro oggi dedicate ai calcoli fiscali. Risorse che potrebbero essere reindirizzate verso innovazione, digitalizzazione e formazione del personale.
I precedenti internazionali confermano la validità di un approccio simile. In Germania il regime di cassa per le piccole imprese ha ridotto i fallimenti del 20%, in Francia gli investimenti in innovazione sono aumentati del 15% e in Spagna l’esenzione parziale per le nuove attività ha migliorato del 30% gli indicatori di liquidità.
Per l’Italia, conclude Unimpresa, una riforma di questo tipo rappresenterebbe una scelta di politica economica concreta e compatibile con le regole europee, capace di coniugare rigore di bilancio e sostegno alla crescita reale, garantendo competitività e respiro finanziario a un tessuto produttivo che da solo vale il 70% del PIL e oltre l’80% dell’occupazione privata.