Economia

Transizione 6.0, la nuova scommessa per rilanciare gli investimenti industriali italiani

Redazione
 
Transizione 6.0, la nuova scommessa per rilanciare gli investimenti industriali italiani

Il governo prepara il rilancio della politica industriale con il piano “Transizione 6.0”, destinato a raccogliere l’eredità del programma 5.0 e a correggerne gli errori. La misura, in fase avanzata di elaborazione al ministero delle Imprese e del Made in Italy, punta a stimolare una ripresa degli investimenti tra l’8% e il 10% nel biennio 2026-2027, con un impatto positivo sul PIL stimato fino a 0,4 punti percentuali annui.

Transizione 6.0, la nuova scommessa per rilanciare gli investimenti industriali italiani

Secondo un’analisi del Centro Studi di Unimpresa, il piano potrà contare su una dotazione di circa 3,5 miliardi di euro di fondi nazionali, destinati a sostenere la doppia transizione digitale ed ecologica attraverso nuovi investimenti in macchinari, tecnologie e processi produttivi a basso impatto ambientale. Una cifra inferiore ai 6,3 miliardi del precedente Transizione 5.0 finanziato dal Pnrr, ma costruita su basi più solide e con una gestione interamente italiana.

Il 5.0, infatti, non ha raggiunto i risultati sperati, solo 2,2 miliardi, poco più del 35% delle risorse, sono stati effettivamente utilizzati, e anche le previsioni più ottimistiche indicano un tiraggio massimo del 40-45% entro la fine del 2025, termine fissato da Bruxelles per la chiusura del programma. Tra le cause principali, la burocrazia e i ritardi nei decreti attuativi, ma anche l’esclusione di interi comparti produttivi, come siderurgia, ceramica e vetro, considerati “energicori” e dunque penalizzati proprio mentre la transizione energetica ne avrebbe richiesto il sostegno.

Il nuovo piano, che dovrebbe entrare in vigore a inizio 2026, mira a invertire la rotta: meno vincoli, tempi più certi e maggiore inclusività. Il Mimit avvierà nelle prossime settimane una consultazione con associazioni di categoria e sindacati per definire i meccanismi operativi. Due le opzioni sul tavolo: il credito d’imposta e l’iperammortamento. La prima, già sperimentata con successo in passato, appare la più probabile. “È la formula più inclusiva, perché consente di accedere agli incentivi anche alle imprese non in utile, che rappresentano il 45% del totale nazionale, e garantisce una fruizione in tre anni”, sottolinea Unimpresa.

Il presidente Paolo Longobardi richiama la necessità di un cambio di paradigma: “Serve una misura semplice, stabile e accessibile, non costruita su misura per i consulenti ma al servizio delle pmi produttive. La politica industriale non può limitarsi a riproporre strumenti già noti, ma deve garantire tempestività e accessibilità diretta. Il credito d’imposta, se ben calibrato, è la leva più efficace per stimolare gli investimenti e rafforzare la competitività del sistema industriale”.

Le esperienze passate mostrano quanto la continuità normativa faccia la differenza. Con “Impresa 4.0”, gli investimenti in beni strumentali crebbero dell’11% tra il 2017 e il 2019, generando circa 120mila nuovi posti di lavoro. Nel biennio 2024-2025, invece, la crescita si è fermata al +2,5%, segno che la complessità del 5.0 ha frenato le imprese. “Transizione 6.0”, nelle intenzioni del governo, dovrà restituire fiducia al tessuto produttivo, offrendo certezze e tempi compatibili con i cicli industriali, oggi tra l’ordine e la consegna di un macchinario passano in media sei mesi, e i ritardi normativi rischiano di annullare l’effetto degli incentivi.

La posta in gioco è alta. Per Unimpresa, un piano ben strutturato potrebbe riattivare un ciclo di investimenti paragonabile a quello generato da Impresa 4.0, con un effetto moltiplicatore sulla crescita e sull’occupazione. “La transizione digitale ed energetica - aggiunge Longobardi -non può essere affidata a misure spot o di breve durata, ma richiede una visione di lungo periodo che consenta alle aziende, soprattutto alle piccole e medie, di pianificare investimenti complessi e progressivi”.

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