Svegliarsi la mattina, da almeno un paio di mesi a questa parte, significa accendere la televisione e cercare di evitare - ed è una cosa che si moltiplica con il progredire della giornata - la massa impressionante di notizie che hanno un solo comune denominatore: Sanremo, declinato in tutte le possibili varianti e che sta lì, ad aspettarti, come un guerrigliero nella giungla.
Se la religione è l'oppio dei popoli, Sanremo è la pietra tombale sull'informazione
Una cosa che è un unicum nel panorama non italiano o europeo, ma mondiale, forse con qualche eccezione legata, lo diciamo pur senza averne conoscenza, a spettacoli creati per magnificare il dittatore di turno.
Una presenza fastidiosamente oppressiva, quella di Sanremo, che ha ormai raggiunto e superato il livello di saturazione, bombardando il cittadino utente di ore e ore di trasmissioni (dall'alba a notte fonda) che, al netto di un prodotto artistico che non sembra di livello eccelso (ma nemmeno quelli degli ultimi hanno lo sono stati), ne magnificano ogni cosa: dalle esibizioni, alla qualità degli ospiti, agli abiti, al questo o quell'altro, raggiungendo un clima di parossismo che si stenta ad accettare.
Il massimo del minimo lo si raggiunge nei telegiornali del servizio pubblico che, dovendo pubblicizzare un proprio prodotto, inondano tutte le loro edizioni di notizie sull'evento attuando un meccanismo a traino, per il quale all'inizio del tg si fa un annuncio a mezza bocca per poi svelarne il contenuto a metà, avendo cura di ampliarlo in cosa al notiziario.
In questo modo si sommerge il cittadino-utente di informazioni che sono quasi tutte inutili, soffermandosi sul sesso degli angeli, proponendo cantanti (beh, forse cantante è una parola grossa) di cui, lo confessiamo cospargendoci il capo di cenere, sconoscevano l'esistenza, senza per questo potere dire di avere perso chissà che.
Con la conseguenza che i tg della Rai, piuttosto che soffermarsi a lungo, per come sarebbe giusto, su argomenti di interesse generale, sguinzagliano fior di giornalisti disperatamente a caccia di qualcosa di cui altri non hanno ancora parlato, costringendoli ad aggirarsi davanti, dentro, dietro e di lato all'Ariston, quasi fosse la caverna che custodisce il Santo Graal.
Con il risultato che tutto è permeato da un senso angosciante di dejà vu, che alla fine ridicolizza l'impegno di chi al Festival di Sanremo lavora e alla fine vede il suo impegno assimilato ad una materia magmatica, indistinta, un chiacchiericcio che alla fine dà solo fastidio. E così i tg sono solo Sanremo e forse anche altro, una situazione che fa venire il sospetto che guardando al pentagramma ci si distrae da altri problemi che sono importanti, ma sul serio.
Ma Sanremo, oltre a narcotizzare l'attenzione dello spettatore, distraendolo magari da altri cosucce in giro per questo mondo (economia, guerra, siccità, inondazioni, terrorismo), è soprattutto una formidabile macchina per rastrellare pubblicità. Una cosa che fa bene e di cui si vedono i frutti, tanto che ormai un passaggio pubblicitario durante il festival necessita di una somma anche a sei zeri. Un fenomeno che avremmo difficoltà a spiegare a chi non è italiano (e che, quindi, non può appassionarsi se un cantante ha coperto i tatuaggi con una dose di fondotinta con cui si sarebbe potuto dipingere un muro o non porta al collo un catenone d'oro massiccio), cosa sia questa kermesse in cui i problemi veri degli italiani sembrano annegare in un mare di insipienza.
Ma Sanremo, a pensarci, non è sempre stato così perché, tra ''colline in fiore'' e ''zingare'', ha regalato momenti di grande musica, anche sottostando ai ricatti moralistici di un vecchio corso della Rai. Quella ''nazionalpopolare'' che chiese a Lucio Dalla di cambiare il testo della bellissima ''4 marzo 1943'', scritto da Paola Pallottino, perché - era già il 1971 e l'Italia aveva perso il suo candore nel fragore delle bombe terroristiche - non si poteva mettere nella stessa frase ''Gesù bambino'' e ''ladri e puttane'', cancellati in favore di ''gente del porto''.
Perché, lo diciamo a chi ancora non lo sa, Sanremo è Sanremo. Sempre.