FOTO: © Andrew Dunn - CC BY-SA 2.0
Nel cuore di Cambridge, tra le austere mura del Fitzwilliam Museum, prende vita dal 21 febbraio fino al primo giugno, Rise Up, un’esposizione di rara intensità che getta nuova luce sui contributi spesso dimenticati dei neri georgiani e vittoriani nella lotta per l’abolizione della schiavitù transatlantica.
Rise Up: la mostra che restituisce voce agli abolizionisti dimenticati
Curata dall’Università di Cambridge, la mostra non si limita a narrare un passato doloroso, ma lo intreccia con il presente, interrogando lo spettatore sulla persistenza delle sue conseguenze.
Attraverso un percorso articolato tra il 1750 e il 1850, Rise Up presenterà un corpus di 100 opere d’arte storiche e contemporanee, oggetti, manoscritti e libri rari, prestati da istituzioni di primo piano in Canada, Porto Rico, Francia e Stati Uniti, oltre che da prestigiose collezioni britanniche.
Una testimonianza che, come sottolinea Luke Syson, direttore del Fitzwilliam Museum, "celebra e commemora il ruolo di figure note e meno note nella lotta per l’abolizione".
Uno dei protagonisti centrali della mostra è Olaudah Equiano, la cui vicenda personale incarna la resilienza e il coraggio di un’epoca segnata dall’ingiustizia. Rapito da bambino e ridotto in schiavitù, Equiano riuscì a riscattare la propria libertà, diventando uno dei più ferventi abolizionisti del XVIII secolo.
La sua autobiografia, pubblicata nel 1789, divenne un testo fondamentale per la campagna britannica contro la schiavitù, spingendolo a viaggiare instancabilmente per diffondere il suo messaggio e perorare la causa dei diritti dei neri.
Ma Rise Up non si ferma ai protagonisti più noti, e getta luce anche sulla vita nelle piantagioni caraibiche e sulla resistenza attiva degli africani e dei loro discendenti contro l’oppressione, raccontando il ruolo cruciale dei militanti neri del gruppo londinese The Sons of Africa.
Un’analisi acuta è, inoltre, dedicata ai falliti progetti di reinsediamento degli ex schiavi, come il destino crudele dei lealisti neri deportati in Nuova Scozia, dopo la Rivoluzione americana o la controversa fondazione della Sierra Leone.
L’abolizione della tratta nel 1807 e lo Slavery Abolition Act del 1833 segnarono momenti cruciali nella lotta per la libertà, ma la storia raccontata da Rise Up va oltre le date simboliche. L’atto stesso di emancipazione, infatti, si rivelò ambiguo: gli ex schiavi furono costretti a un apprendistato forzato, un’ennesima forma di coercizione che li privava della piena autonomia.
Come sottolinea Syson, "Rise Up esplorerà la complessa lotta per porre fine alla schiavitù transatlantica e il suo impatto continuo". Un’esposizione che non si limita a evocare la memoria, ma invita a riflettere sul nostro presente con uno sguardo rinnovato. Perché la storia non è mai un semplice resoconto del passato: è un monito, un’eco che risuona nel nostro tempo, chiedendoci di ascoltare.