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La carica dei resi: il lato oscuro degli acquisti online

Redazione
 
La carica dei resi: il lato oscuro degli acquisti online
Con la sbornia natalizia da regali (prevalentemente online) arriva anche il rovescio della medaglia: il volume impressionante dei resi, molto più frequenti durante le Festività. Infatti, secondo il più recente rapporto della National Retail Federation e della società di gestione dei resi Happy Returns, nel 2024 si prevede che i resi ammonteranno al 17% di tutte le vendite di merci, in aumento rispetto a un tasso di resi di circa il 15% delle vendite al dettaglio totali negli Stati Uniti, per un totale di 890 miliardi di dollari contro i 743 miliardi di dollari in beni resi nel 2023.

Per le aziende i resi costituiscono un problema e, date le abitudini acquisite durante la pandemia, sempre più acquirenti hanno iniziato a ordinare prodotti che non avevano mai avuto intenzione di tenere. Secondo Happy Returns, quasi due terzi dei consumatori acquistano abbigliamento e accessori in più taglie o colori, alcuni dei quali saranno restituiti in una pratica nota come “bracketing” cui si aggiunge il cosiddetto “wardrobing”, praticato dal 69% degli acquirenti: ovvero, acquistare un capo per un evento specifico e restituirlo quando non è più necessario.

Comportamenti che, secondo Optoro, Società di soluzioni per i resi, riguardano il 46% dei consumatori, con un aumento del 29% rispetto all’anno scorso: “L’ideale sarebbe che ci fosse un mondo in cui fosse possibile ridurre la percentuale di resi”, ha affermato Amena Ali, Ceo di Optoro, ma “il problema non si risolverà tanto presto”. Ed è un problema gravoso: economicamente, perché l’elaborazione di un reso costa ai rivenditori una media del 30% del prezzo originale di un articolo, ha scoperto Optoro. E poi perché, dichiara Spencer Kieboom, fondatore e CEO di Pollen Returns, un’azienda di gestione dei resi, spesso i prodotti rimandati indietro non tornano sugli scaffali e questo crea problemi ai rivenditori che lottano per migliorare la sostenibilità.

Ammesso che i beni restituiti possano essere reimmessi sul mercato, riconfezionare i prodotti e e rivenderli, magari all’estero, genera ancora più emissioni di carbonio. Inoltre, in alcuni casi le restituzioni vengono inviate direttamente in discarica e, in base ai dati di Optoro, nel 2023 hanno generato 8,4 miliardi di libbre di rifiuti in discarica.
La lotta ai resi selvaggi costituisce una sfida importante per i rivenditori, non solo in termini di mancati ricavi, ma anche in termini di impatto ambientale e, come sostiene Rachel Delacour, co-fondatrice e CEO di Sweep, un’azienda di gestione dei dati sulla sostenibilità, “alla fine, essere sostenibili è una strategia aziendale”.
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