Il referendum, con i cinque quesiti, si avvia mestamente al fallimento perché ben difficilmente il quorum sarà raggiunto. In fondo, era nell'aria perché, come sempre, la materia di questi appuntamenti, dall'alto valore simbolico, resta astrusa, quasi un ghirigori di formulazioni che, più che di un ''sì'' o un ''no'', necessitavano di un professore che, all'orecchio del cittadino elettore, spiegasse su cosa si doveva esprimere.
Referendum: verso la mancanza del quorum, ma abbiamo perso tutti, a cominciare dal civismo
Quindi, abbiamo scherzato e tutto resta come prima, non perché così ha deciso il popolo, ma perché lo stesso popolo ha ritenuto, a maggioranza, che aveva altre cose da fare che non andare al seggio.
Ma in fondo era una cosa che tutti sapevano, anche coloro che c'hanno messo la faccia spendendosi per convincere la gente non tanto a dire come la pensava, quanto ad andare ad esprimere un voto, facendo del referendum un esercizio di democrazia e non un semplice round dell'eterno incontro di pugilato tra detentore (il governo) e sfidante (le opposizioni).
Per capire quanto ampia sia stata la sconfitta dei promotori del referendum, occorrerà leggere i dati specifici di ciascun referendum, per capire come pensasse la gente che ha deciso di andare a votare la pensasse. Con un occhio particolare a quelli relativi al jobs act e alla cittadinanza, il primo fortemente voluto dalla componente sindacale dell'opposizione, il secondo da chi, con esso, voleva fare capire al governo che è forse tempo di cambiare idea nel complesso problema dell'immigrazione.
Però, a guardare con attenzione quel che accade in queste ore che separano dall'ufficializzazione del risultato, si capisce quanto difficile sia cancellare l'italico stigma di non sapere perdere, ma nemmeno vincere.
Quindi, ad urne ancora ''calde'', c'è chi, come il vicepremier (mai dimenticare che è, sia pure in coabitazione, il numero 2 del governo) Matteo Salvini, non perde occasione per dire che la cittadinanza è una cosa seria, come se dimezzare il periodo minimo per richiederla da dieci a cinque anni fosse una barzelletta.
Magari avrebbe potuto chiosare dicendo che, per chi vive e lavora e produce reddito nel nostro Paese, la cittadinanza è un traguardo importante. Ed invece Salvini ha ridotto tutto al fatto che coloro che vogliono giurare sul tricolore debbano avere una conoscenza della storia italiana, debbano rispettare regole e leggi. Se no, ha concluso, ''tutti a casa''. Insomma, Trump fa scuola.
Ma, tutto sommato, Salvini c'è andato anche piano perché c'è stato chi ha commentato il mancato raggiungimento del quorum con un ''ora tornate a cuccia'' rivolto ai referendari, non capendo che in questo modo non ha offeso solo loro, ma anche chi è andato a votare per dire no e volendo così ricorrere sempre ad uno strumento democratico per esprimere il proprio convincimento.
Insomma, tutto secondo le previsioni, con le opposizioni che sono andate ad una prova di forza ben sapendo che quella che avrebbe dovuto essere la forza di almeno un referendum - quello sul Jobs act - , cioè l'unità del fronte sindacale, si è spappolata a conferma che anche chi, ieri, si professava ''anti'' qualcosa, ora flirta con la maggioranza che governa.
Come accade sempre, tra qualche ora o giorno scatterà l'ora della presa di responsabilità, anche se, come da canone rispettato da tutti, la sconfitta è un peso difficile di cui farsi carico. Comunque, se questa doveva essere la prova generale per la formazione di un ampio schieramento politico in grado di sbarrare la strada a Giorgia Meloni, l'esito si commenta da solo. Come si commenta il fatto che la sinistra, organica o solo di contorno, non ha bisogno di capipopolo che non sono organici ai partiti, nella loro forma tradizionale.
Se Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia sono già partiti all'attacco cantando vittoria, il confronto interno sarà - o almeno dovrebbe essere, se si ha veramente a cuore la sorte del partito - il filo rosso delle prossime ore nel Pd, uscito a brandelli dal referendum, avendo scelto una strada tortuosa.
Basti leggere quel che ha scritto l'eurodeputata Elisabetta Gualmini, che, in poche frasi, ha riassunto il dramma psicologico del Pd: ''Avere mobilitato tutto il partito (democratico), tutti i circoli, tutti i dirigenti su un referendum che doveva 'correggere gli errori del vecchio Pd' si è rivelato un boomerang. Un referendum politico contro sè stessi. Avere rotto l'unità sindacale in una rinnovata cinghia di trasmissione con un solo sindacato (Cgil), pur con rispetto, un altro errore. Con quesiti rivolti al passato e pochissimo legati alle patologie del mercato del lavoro di oggi. Doveva essere uno sfratto a Meloni. Non pare vada cosi. Auguriamoci almeno una discussione franca magari anche con quelli del vecchio Pd''.