L'attuale fase dello sviluppo industriale e tecnologico mondiale è caratterizzata dalla convergenza di infrastrutture spaziali e terrestri. Le tecnologie spaziali, con il loro ruolo nella localizzazione e nella sincronizzazione, nel telerilevamento e nelle comunicazioni, sono essenziali per la fornitura di servizi digitali in tutto il mondo e vitali per le prestazioni e la sopravvivenza delle nostre infrastrutture critiche. Ad esempio, la connettività globale, nonostante l'ampia diffusione delle reti wireless a banda larga (5G e, presto, 6G), non sarà mai pienamente raggiunta senza il supporto delle comunicazioni mobili satellitari. È richiesta un'integrazione senza soluzione di continuità dei sistemi spaziali e terrestri. Le applicazioni a valore aggiunto, rese possibili dall'integrazione delle infrastrutture spaziali con quelle terrestri, spaziano dalla gestione dei trasporti (terrestri, marittimi ed aerei) all’automazione industriale, dall’utilizzo efficiente dell’energia e della sua distribuzione (reti elettriche, oleodotti, gasdotti) all’agricoltura, quest’ultima sempre più essenzialmente basata su tecnologie avanzate. Un ruolo fondamentale in questa integrazione spazio-terra giocano i sistemi satellitari di navigazione globale (GNSS), come l’americano GPS e l’europeo Galileo, così come i sistemi di osservazione della terra dallo spazio, quali l’europeo Copernicus ed I sistemi italiani COSMO-Skymed ed IRIDE. Tale è l’importanza dell’economia spaziale e tanto promettenti appaiono le sue prospettive future che è stata coniata ormai da alcuni anni la definizione “New Space Economy”. Le prospettive di crescita del mercato globale della “New Space Economy” sono effettivamente impressionanti: si prevede un volume complessivo di oltre mille miliardi (un trilione) di dollari entro il 2030, forse di mille ottocento miliardi di dollari nel 2035. Da notare per inciso che il 70% della crescita sarà nel cosiddetto “downstream”, cioè nelle applicazioni e nei servizi basati sullo spazio. Queste cifre costituiscono però per l’industria spaziale italiana e più in generale europea una promessa ed al contempo una minaccia. La New Space Economy sta infatti ridefinendo il modo in cui pensiamo allo spazio, trasformandolo da una frontiera esclusivamente governativa a un ecosistema dinamico dominato da attori privati. SpaceX, con le sue innovazioni rivoluzionarie, come i razzi riutilizzabili e il progetto Starlink, ha stabilito standard difficili da eguagliare, creando una situazione di quasi monopolio in alcune aree del mercato. Tuttavia, anche di fronte a tali giganti, ci sono strategie che possono consentire alle aziende italiane ed europee di competere con successo. É di fondamentale importanza un piano industriale spaziale coordinato per l'Italia e l'Europa.

Il panorama spaziale attuale
Nonostante le dichiarazioni apodittiche ed I trionfalismi spesso ostentati, la posizione dell'Europa nel settore spaziale globale non è affatto positiva e rischia di peggiorare in futuro. Senza scendere in troppi dettagli, basterà citare alcune situazioni particolarmente rappresentative. Prima fra tutte, l’accesso allo spazio, cioè la capacità dell’Europa di mettere i propri asset in orbita in modo indipendente e ad un costo competitive. Il 2024 è stato l’”annus horribilis” dei lanciatori europei e solo il successo dell’ultimo lancio del razzo Italiano Vega-C ne ha parzialmente risollevato le sorti. Dopo anni di indipendenza tecnologica basata sui lanciatori della serie Ariane, l’Europa spaziale, dismessi definitivamente gli Ariane 4 ed Ariane 5, puntava tutto, con ingenti investimenti pubblici, sul lanciatore di nuova generazione Ariane 6. Lanciatore obsoleto e non competitivo (perché non riutilizzabile) ancor prima di vedere la luce ed il cui lancio inaugurale lo scorso anno non è stato un pieno successo. Come conseguenza, si è dovuto ricorrere all’americana (e privata) Space X per mettere in orbita due satelliti della costellazione Galileo (alla faccia dell’indipendenza strategica) e persino ad un lanciatore indiano. Altro esempio di arretratezza tecnologica, ma soprattutto strategica, è l’attualmente molto dibattuta situazione delle telecomunicazioni via satellite per uso governativo e militare. Per anni la passata Commissione ha cercato di promuovere due programmi, GovSatCom ed IRIS2, che avrebbero dovuto, rispettivamente nel breve e nel medio/lungo termine, provvedere un’infrastruttura comune europea per le comunicazioni sicure e la gestione delle emergenze. Il risultato è che solo ora i due programmi cominciano a vedere una seppur debole luce, scontando un divario ormai incolmabile accumulatosi nel frattempo rispetto alla costellazione Starlink, sempre dell’immancabile Elon Musk. La conseguenza tangibile delle due situazioni paradigmatiche descritte è una profonda crisi dell’industria spaziale europea, specialmente francese e tedesca, col rischio di licenziamenti a tappeto e di perdita di posizionamento tecnologico. L’Italia, e non a caso, è attualmente in una situazione migliore di molti degli Stati Membri europei. La tradizione italiana nello spazio conta ormai più di sessanta anni, l’ecosistema industriale è sufficientemente vario, con la presenza di una qualificata e molto apprezzata piccola e media industria ed una buona collaborazione fra università, centri di ricerca ed industria. Il coordinamento delle attività spaziali è affidato all’Agenzia Spaziale Italiana, in fase di rinnovamento e di miglioramento della sua efficienza. Infine, il sostegno del Governo italiano, in termini di investimenti su budget nazionale e su fondi PNRR, è stato sostanziale e lungimirante, nonché corroborato da una Legge sullo Spazio che fa chiarezza anche a livello normativo su tante questioni finora in sospeso. Non ci si deve tuttavia illudere: non si può giocare nello scenario della “New Space Economy” senza prendere coscienza delle nuove regole del gioco. Queste nuove regole implicano una competizione acerrima, basata sull’eccellenza tecnologica, sulla qualità, sulla creatività, sulla flessibilità, sull’efficienza gestionale e su costi concorrenziali a livello globale. La “New Space Economy” ci impone un radicale cambio di mentalità: da un approccio fiducioso nel supporto governativo sui grandi programmi, ad uno totalmente commerciale, ma non a scapito di eccellenza e qualità. Da una visione “satellitocentrica”, ad una mirante all’integrazione con tutte le infrastrutture della società, sulla base di applicazioni e servizi ad alto valore aggiunto.

Come competere nel mercato della “New Space Economy”?
Competere nel mercato della New Space Economy, soprattutto di fronte ai nuovi giganti monopolisti internazionali, rappresenta una sfida complessa ma non insormontabile. Sono necessari, a livello pubblico e privato, una serie di cambiamenti radicali, i quali, prima ancora di essere tecnologici, devono investire il nostro modo di concepire l’impresa ed il mercato, la nostra propensione al rischio, l’organizzazione industriale e la gestione dei contratti. Una delle principali cause della rivoluzione in atto nel mercato spaziale è stata la riduzione dei costi ricorrenti, in particolare, ma non solo, quelli dei lanciatori (una riduzione di un ordine di grandezza ed oltre negli ultimi dieci anni). Innovazione e riduzione dei costi devono andare di pari passo, in modo sinergico e non antagonista. L’innovazione deve mirare a raggiungere posizioni di eccellenza a livello internazionale, ma non a 360 gradi: non ha molto senso (come purtroppo l’Europa ha fatto in passato) cercare di riconquistare le posizioni perse nei confronti di aziende come Space X, ma piuttosto crearsi nicchie di indiscusso ed incontrastato predominio in tecnologie chiave e strategiche. Da questo punto di vista, non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza del settore Downstream, cioè dei Servizi a Valore Aggiunto rivolti agli utenti finali, pubblici o privati che siano. Secondo varie analisi e rapporti, il downstream rappresenta una parte significativa del giro d'affari della Space Economy. In media, più del 70% del fatturato totale del settore spaziale è legato ai servizi downstream, con il restante 30% dedicato all'upstream (la costruzione e il lancio delle infrastrutture spaziali). Il downstream non solo rappresenta una fetta importante del giro d'affari della New Space Economy ma è anche il motore principale per la crescita futura del settore. La sua importanza risiede nella capacità di trasformare i dati spaziali in soluzioni pratiche con impatti diretti sulla vita quotidiana e sull'economia globale. La propensione al rischio, molto bassa nelle industrie europee, va promossa attraverso un rilancio convinto delle collaborazioni Pubblico-Privato (“Public Private Partnerships, PPP’s”). La creazione di collaborazioni forti tra enti pubblici e aziende private può portare ad un ambiente più favorevole per l'innovazione e per il supporto finanziario di iniziative spaziali, abbandonando la vecchia mentalità, confidente negli aiuti a pioggia con denaro pubblico. Propensione al rischio significa anche accettare forme contrattuali ormai in disuso da tempo in ambito spaziale. È invalso infatti l’uso, specialmente in ambito ESA, di contratti “cost-plus”, modo elegante per indicare contratti, di fatto, a rimborso costi. La nuova tendenza della NASA, introdotta proprio da Musk, è quella di tornare ai contratti “firm and fixed price” (cioè a prezzo fermo e fisso), che riportano tutti i rischi sulle spalle del fornitore, inclusi quelli derivanti dalle immancabili dilazioni dei tempi di consegna. Per finanziare innovazione e potenziale competitivo è tuttavia cruciale l’accesso ai capitali, meglio se privati. Start-up e PMI, sempre più attive nel settore, devono essere supportate da società di “venture capital” e da investitori privati interessati al potenziale di crescita del mercato spaziale. Gli investimenti in Ricerca e Sviluppo devono essere convogliati nella giusta direzione e non dispersi in mille rivoli, come spesso purtroppo avviene anche in Italia. È necessario creare o rafforzare il coordinamento fra università, istituti di ricerca ed industrie attraverso agenzie nazionali (ASI) ed internazionali (ESA, EUSPA) che favoriscano, ad esempio, la nascita di cluster tecnologici. Le università in particolare devono svolgere un ruolo fondamentale nella formazione di tecnici e ricercatori eccellenti e dotati della giusta “forma mentis”, cioè disposti a mettersi in gioco in sfide ambiziose e difficili. La competizione internazionale deve necessariamente passare attraverso l’apertura di nuovi mercati e di nuove opportunità commerciali: l’Italia può e deve aumentare il proprio export spaziale. In questa prospettiva, la cooperazione internazionale, efficacemente coordinata dal nostro MAECI, può aprire nuove opportunità di mercato, come il lancio di satelliti per paesi emergenti o la fornitura di servizi spaziali a livello internazionale. Un unico caveat: la cooperazione è efficace, anche a livello geopolitico, solo se basata su eccellenza e competitività. Un ultimo punto, per quanto delicato e dibattuto: la Sicurezza da e per i sistemi spaziali. I sistemi spaziali, essendo altamente integrati nelle infrastrutture critiche della nostra società, devono essere garantiti e protetti da attacchi intenzionali e non intenzionali. Inoltre, come la guerra in Ucraina ha tristemente dimostrato, negli ultimi anni è avvenuta una crescente militarizzazione dello spazio, con la rinascita di dubbi e quesiti che si credevano ormai dimenticati, quali quelli sull’uso di ordigni nucleari in orbita. Sicurezza e Militarizzazione, come tutte le minacce, generano esigenze, ma, al contempo, creano opportunità.
Conclusioni
Competere nel contesto della New Space Economy richiede in primis un cambiamento radicale di mentalità imprenditoriale, poi una combinazione di innovazione tecnologica, strategie di mercato intelligenti, ed un forte supporto finanziario, meglio se privato. Le PMI italiane, con la loro tradizione di eccellenza in settori tecnologici avanzati, hanno il potenziale per ritagliarsi un ruolo significativo nella New Space Economy, ma tutto ciò richiede una strategia ben pensata, un uso intelligente delle risorse e una forte volontà di innovare e collaborare, accettando i rischi di un mercato fortemente competitivo. In ambito europeo, l’Unione deve prendere atto del fallimento delle politiche spaziali europee negli ultimi anni, particolarmente evidente se lo si compara con i successi precedentemente ottenuti in precedenza, quando, ad esempio, si riuscì a far decollare il grande progetto strategico Galileo. Alcuni Stati Membri devono riconoscere le loro responsabilità ed abbandonare la pretesa di dominare la politica spaziale europea, favorendo di fatto le rispettive industrie nazionali. Una decisa azione di finanziamento delle attività spaziali, come parte di un piano europeo su Tecnologia, Sicurezza e Difesa, per esempio attraverso l’emissione, spesso invocata, di Eurobond dedicati, lancerebbe messaggi forti verso l’esterno e migliorerebbe la fiducia dei cittadini europei nelle istituzioni.