Il Partito democratico cerca di metabolizzare la sconfitta in Calabria, dove il candidato del campo largo, Pasquale Tridico, espressione dei Cinque stelle, è stato spazzato via dal presidente uscente, Roberto Occhiuto, che, dopo essere stato indagato per corruzione, ha giocato d'anticipo, dimettendosi e ricandidandosi, forte del consenso dei calabresi.
Pd diviso: Schlein vuole proseguire nel rapporto col M5S, il partito teme l'abbraccio mortale
Ma il Pd non sembra essere coeso nell'analisi che, da quel che pare, Elly Schlein porta avanti imputando la sconfitta elettorale alle difficoltà oggettive nel recuperare il gap iniziale con Occhiuto, mentre alcuni esponenti di spicco del partito non hanno timore ad accreditarla all'abbraccio mortale con i Cinque Stelle che, dopo avere strappato la candidatura di Tridico, hanno trascinato l'alleanza verso il basso, con un risultato elettorale - appena sopra il 6% - in linea con altri recenti, deludenti appuntamenti elettorali.
Va da sé che nessuno nasconde l'evidenza - la batosta è stata sonora, con circa il 16% di distacco dal centrodestra -, ma è sui motivi che il confronto in casa Pd rischia di dare il via ad una resa dei conti.
I successi del passato sono ormai un ricordo sbiadito, che certo non lenisce il dolore bruciante del ''back to back'' tra Marche e Calabria del centrodestra.
Ma si sa che delle colpe nessuno intende farsi carico, a maggior ragione quando ad essere sconfitto è un cartello di partiti, nessuno dei quali disposto ad accettare responsabilità.
Però, tra i critici della segreteria - accusata, seppure velatamente, di un eccessivo dirigismo e, quindi, d'essere refrattaria al confronto interno su tematiche delicatissime quali le alleanze - comincia a serpeggiare il malcontento per il rapporto con i Cinque Stelle, guardando quasi con paura a quel che potrebbe accadere in Campania dove, finita l'epopea di Vincenzo De Luca, Giuseppe Conte ha chiesto e ottenuto la candidatura di Roberto Fico.
Ora, pur non avendo molto da dire contro la persona, la candidatura di Fico rischia di essere molto più debole di quel che il precedente quadro politico alla Regione Campania dei tempi di ''King Vincenzo''.
Perché, come ha detto De Luca, che mai ha negato una parola buona ai Cinque Stelle, il partito di Conte viene da una legislatura passata all'opposizione, con quel che ne consegue in termini di rapporti, personali e di partito. La candidatura dell'ex presidente della Camera, insomma, viene vista da buona parte dei maggiorenti del Pd come un esagerato tributo all'alleato, con il rischio che la sua strada possa trovare molti ostacoli.
E forse qualcuno si sta chiedendo cosa possa portare, all'alleanza, in termini elettorali, un uomo politico, senza infamia e senza lode, che è fuori dalla mischia da troppo tempo e che, come qualcuno perfidamente ha fatto notare, prima di essere eletto presidente della Camera, aveva un curriculum scarno, in cui spicca la tesi di laurea in Scienza della comunicazione, ''Identità sociale e linguistica della musica neomelodica napoletana''.
E intanto, dopo il disastro calabrese, c'è chi punta il dito sull'irrilevanza politica dimostrata da Tridico, che pure ha recuperato un distacco che inizialmente era più ampio. Ma, nel disperato tentativo di una rimonta, ha tirato fuori tutto l'armentario pentastellato, da reddito di dignità alla promessa di abolire il bollo auto.
Una cosa che manco Achille Lauro (non il cantante, ma l'armatore e sindaco di Napoli, ma anche di Sorrento) avrebbe pensato, lui che regalava una scarpa sinistra agli elettori, promettendo di dare loro la destra se l'avessero votato.
Ma ormai la politica ci ha abituato a queste cose: promettere, fare sperare e, dopo il voto, chissà.
La sconfitta in Calabria è stata netta, inequivocabile, ma da qui a cercare di arrampicarsi sui classici specchi è forte, troppo, anche per un partito, come quello democratico, che ha fatto tanti errori nel recente passato, che ora chiedono il conto.
Anche perché non si può sempre sperare di chiedere il voto per fedeltà, quando la gente legge e sente, si fa un'idea e decide. E un'idea può anche quella di non riconoscersi più in un partito che sembra avere smarrito una linea certa, inseguendo chi (i Cinque Stelle) sembra ancora non essere riuscito ad espellere le scorie di una politica opportunista, quella che chiede il consenso proponendo soluzioni che, col tempo, si dimostrano fallaci. Poi ci sarebbe anche Maurizio Landini che, a sentirlo parlare e ripetere, non ha alcuna intenzione di farsi sedurre dalla politica, ma di fatto sta portando per mano la Cgil a diventare essa stessa un soggetto politico (che scavalcherebbe a sinistra il Pd).
Luca Ricolfi, parlando del recente sciopero indetto dalla centrale sindacale dopo i fatti di Flotilla, ha detto, su Repubblica, che ''sempre più sovente lo sciopero viene proclamato contro il governo, o comunque non su temi specifici, che hanno a che fare con la condizione dei lavoratori (salari, occupazione, sicurezza sul lavoro). E questo vale in special modo per il maggiore sindacato italiano, la Cgil, il cui leader si muove da tempo come un vero e proprio soggetto politico, con un'agenda in materia di immigrazione (referendum di maggio sulla cittadinanza) e persino di politica internazionale (scioperi pro Gaza)''.
Eppure Schlein continua per la sua strada che però si sta restringendo con il passare del tempo, riducendosi in un budello o, nella peggiore delle ipotesi, in un pericoloso cul de sac, dicendosi sempre convinta dell'alleanza con i Cinque Stelle: ''È la condizione indispensabile per vincere e governare, quindi noi andremo avanti nella nostra opera di consolidamento dell’alleanza''.
Se lo dice lei...