Cultura

Paddington, il piccolo orso dal cuore grande: un’icona dell’accoglienza e dell’integrazione

Barbara Leone
 

FOTO: Matt BrownCC BY 2.0

C’era una volta un orsetto venuto da lontano. Non era un principe e non aveva un regno, ma portava con sé un dono prezioso: la gentilezza. Il suo nome era Paddington, e la sua storia, nata dalla penna di Michael Bond nel 1958, avrebbe attraversato i decenni, trasformandosi in una parabola moderna sull'accoglienza, l’identità e il senso di appartenenza. Quando Bond scrisse il primo libro, aveva immaginato il suo orso provenire dall' "Africa più oscura", ma fu un agente letterario a suggerirgli una revisione dal momento che nel continente africano, infatti, non vi sono orsi.

Paddington, il piccolo orso dal cuore grande: un’icona dell’accoglienza e dell’integrazione

Fu così che Paddington venne dal Perù, ma la sua vera provenienza era il "Somewhere Else", un luogo indefinito e simbolico, che lo rendeva immediatamente riconoscibile per ciò che era: uno straniero in terra nuova, un viaggiatore smarrito, ma pieno di speranza, un immigrato che cercava un posto dove poter essere accettato. Ed è proprio questa la magia di Paddington: la sua storia è universale.

Ogni bambino che si affaccia al mondo degli adulti può rivedersi nei suoi occhi curiosi, nelle sue goffe avventure, nei suoi tentativi di comprendere un universo fatto di regole incomprensibili. Ma anche ogni adulto può riconoscervi il viaggio di chi lascia la propria terra natale alla ricerca di una nuova casa.

L’immagine di Paddington, con il suo cappotto blu, il montgomery e il cappello rosso, è diventata un’icona della letteratura per l’infanzia britannica. Eppure, negli ultimi anni, il suo ruolo si è ampliato ben oltre le pagine dei libri. Il successo dei film dedicati al piccolo orso, in particolare “Paddington” (2014) e “Paddington 2” (2017), ha reso ancora più evidente il sottotesto della sua storia: Paddington non è solo un personaggio tenero e divertente, ma un simbolo di accoglienza e multiculturalismo.

Ora, con “Paddington in Perù”, il terzo capitolo della serie cinematografica, l'orso titolare ritorna alle sue radici, offrendo un'opportunità per esplorare il legame profondo tra il protagonista e la sua terra natale.

La trama si sviluppa attorno al desiderio dell’orsetto di aiutare la sua amata zia Lucy, ormai anziana, che lo spinge a intraprendere un viaggio che lo condurrà fino alla foresta amazzonica. Qui si trova coinvolto in un'avventura che lo porta alla ricerca della leggendaria città perduta di El Dorado, una storia che affonda le sue radici nei miti coloniali e nelle aspirazioni dei conquistadores.

Il film affronta il tema dell'immigrazione con delicatezza e profondità, mostrando come l'identità di Paddington sia ormai indissolubilmente legata alla sua vita in Gran Bretagna. Sebbene il richiamo delle origini sia forte, alla fine l’orso capisce che la sua casa è a Londra, non per un caso di nascita, ma per scelta. La sua britannicità è definita non dal sangue o dalla terra, ma dalle usanze che ha fatto proprie: l’ora del tè, i panini alla marmellata, l’immancabile cortesia.

Questo viaggio in Perù diventa quindi una riflessione sulla duplice identità degli immigrati, divisi tra il richiamo delle radici e il senso di appartenenza alla nuova patria. L’antagonista del film è interpretato da un magistrale Antonio Banderas nei panni di un capitano di battello fluviale ossessionato dalla ricerca di El Dorado, peso delle generazioni passate che hanno inseguito il mito della città d’oro. Un personaggio che, intrinsecamente, funge anche da commento sulla lunga storia dello sfruttamento delle risorse sudamericane da parte degli stranieri.

Tuttavia, il film stesso non è esente da critiche: le popolazioni indigene peruviane sono ridotte a mere comparse, e la cultura inca viene condensata in pochi elementi stereotipati come i nodi quipu e le sculture in pietra. Nonostante queste semplificazioni, “Paddington in Perù” riesce a catturare l'essenza del viaggio interiore dell’orso, trasformando la sua avventura in una storia di crescita, scoperta e affetto.

Alla fine, Paddington condivide con la sua famiglia perduta da tempo la sua celebre ricetta della marmellata, un gesto che simboleggia il modo in cui l’immigrazione può arricchire entrambe le culture, creando un ponte tra il passato e il futuro. Ciò che rende la storia di Paddington straordinaria non è solo il modo in cui racconta l’immigrazione, ma il messaggio che ne deriva: essere accolti in un nuovo Paese non significa perdere le proprie radici, bensì arricchire il luogo che ci accoglie con la nostra cultura, le nostre tradizioni, il nostro cuore.

Un concetto che viene sottolineato ancor di più nella chiusura del film, quando Paddington, dopo aver riscoperto le sue origini, decide comunque di tornare a Londra. Non perché non ami il Perù, ma perché ha scelto la sua nuova casa. E non per diritto di nascita, ma per scelta di cuore. Perché non è il sangue a definire chi siamo, ma le esperienze, gli affetti, i gesti quotidiani: un’idea di nazionalità che supera i confini geografici e politici per abbracciare una visione più ampia e inclusiva.L’uomo che si cela dietro questa storia straordinaria, Michael Bond, è un autore che ha saputo interpretare il mondo con uno sguardo acuto e compassionevole.

Nato nel 1926 a Newbury, nel Regno Unito, Bond prestò servizio nell’esercito durante la Seconda Guerra Mondiale e iniziò a scrivere nel 1945. L’idea di Paddington gli venne quasi per caso, quando acquistò un orsetto di pezza per sua moglie la vigilia di Natale del 1956. Quello che iniziò come un semplice paragrafo scritto d’impulso divenne un libro intero, poi una serie, infine un fenomeno globale.

Paddington divenne rapidamente uno dei personaggi più amati della letteratura per ragazzi. Con oltre trentacinquemila copie vendute in tutto il mondo e traduzioni in più di quaranta lingue (persino in latino), il piccolo orso ha conquistato, ed educato, negli anni intere generazioni di lettori. Non a caso 1977 Bond ricevette l’OBE (Order of the British Empire) per il suo contributo alla letteratura per l’infanzia, mentre più recentemente, nel 2002, la National Portrait Gallery di Londra lo ha incluso tra i più grandi autori per ragazzi del Novecento.

Negli ultimi anni, l’immagine di Paddington ha assunto un significato ancora più profondo, diventando un simbolo dell’identità britannica più inclusiva e accogliente. Sempre nel 2022, un breve cortometraggio che lo ritraeva insieme alla Regina Elisabetta II, realizzato per il Giubileo di Platino, divenne virale. E dopo la morte della sovrana, un’illustrazione che li mostrava mano nella mano commosse il mondo intero.

Un dettaglio particolarmente significativo, se si considera che la monarchia britannica ha spesso rappresentato l’opposto di ciò che Paddington incarna: esclusività e privilegio, mentre il simpatico oresetto con il cappotto blu rappresenta l’inclusione, la gentilezza e la capacità di un Paese di accogliere e trasformare chi arriva da lontano. Magari con un barattolo di marmellata sempre a portata di mano.

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