Esteri

Pace - Gli architetti di un accordo difficile

Barbara Leone
 
Pace - Gli architetti di un accordo difficile

La diplomazia internazionale ha prodotto in queste ore uno dei suoi momenti più delicati: un equilibrio precario tra pressioni e promesse che ha portato all'annuncio di un accordo sulla Striscia di Gaza.
Ma dietro i comunicati ufficiali si muovono personalità complesse, ciascuna con le proprie ambizioni e calcoli politici.

Pace - Gli architetti di un accordo difficile: i protagonisti dell'accordo su Gaza

Impossibile non partire da lui. Donald Trump è tornato sulla scena mediorientale con l'ossessione che lo ha sempre guidato: il successo visibile.

Nato nel Queens nel 1946 da Fred Trump, costruttore immobiliare che gli ha trasmesso tanto il patrimonio quanto l'aggressività imprenditoriale, ha trasformato l'impero edilizio paterno in un marchio globale.

La sua vera educazione è avvenuta nei cantieri di Manhattan e nei casinò di Atlantic City, dove ha imparato che nella negoziazione conta più l'impressione di forza della forza reale. I fallimenti aziendali degli anni Novanta, quattro bancarotte che avrebbero distrutto chiunque altro, lo hanno trasformato in uno stratega della narrativa personale.

La sua prima presidenza, dal 2017 al 2021, è stata caratterizzata da quello che i critici chiamano improvvisazione e i sostenitori definiscono pragmatismo. Gli Accordi di Abramo rimangono l'unico risultato diplomatico di cui può vantarsi senza riserve, la dimostrazione che il suo approccio transazionale poteva funzionare. Il ritorno trionfale del gennaio 2025, questa volta contro Kamala Harris, lo ha reso il primo presidente condannato penalmente a insediarsi alla Casa Bianca. Ora, a settantanove anni, affronta Gaza con lo stesso istinto.

Ha creato un "Board of Peace" che presiederà personalmente, una struttura che riflette la sua convinzione di poter gestire la complessità geopolitica come un deal immobiliare particolarmente complicato. Il suo piano in venti punti porta la sua firma inconfondibile: ambizioso, vago quanto basta per permettere interpretazioni diverse, costruito sull'idea che la pace sia essenzialmente una questione di incentivi economici e pressioni politiche calibrate. Costringere Netanyahu ad accettarlo rappresenta già un successo notevole, considerando che anche lui è una personalità forte.

Ed eccolo qui: Benjamin "Bibi" Netanyahu, che ha attraversato questo negoziato come un funambolo sul filo teso sopra l'abisso. Nato nel 1949 a Tel Aviv, è cresciuto all'ombra di un padre storico del revisionismo sionista e di un fratello, Yonatan, eroe nazionale morto nell'operazione di Entebbe del 1976. Quella morte ha segnato la famiglia Netanyahu e probabilmente anche le scelte politiche di Benjamin, costantemente in bilico tra l'eredità del fratello eroe e il peso delle aspettative paterne. Gli anni americani hanno forgiato il Netanyahu che conosciamo.

Laureato al MIT, perfettamente bilingue, ha lavorato come consulente aziendale prima di entrare nella diplomazia israeliana negli anni Ottanta. Come ambasciatore alle Nazioni Unite ha imparato l'arte della comunicazione televisiva, scoprendo di possedere un talento naturale nel trasformare questioni complesse in narrative comprensibili. A

New York ha anche conosciuto Fred Trump, il padre di Donald, stringendo un'amicizia che avrebbe avuto conseguenze decenni dopo. Nel 1996, a soli quarantasette anni, è diventato il più giovane primo ministro nella storia di Israele. Da allora ha dominato la politica israeliana attraverso sei governi diversi, diventando il leader più longevo nella storia del paese. Prova ne sia che i processi per corruzione che lo perseguitano da anni non lo hanno scalfito elettoralmente, anzi hanno rafforzato la sua narrativa di vittima delle élite giudiziarie.


Tra Washington e Tel Aviv si muove Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, che incarna la contraddizione sofisticata del Qatar moderno. Nato a Doha il primo novembre 1980, appartiene alla generazione dei principi del Golfo cresciuti tra tradizione tribale e università occidentali. Ha iniziato come ricercatore economico, un ruolo che gli ha permesso di comprendere i meccanismi finanziari del piccolo emirato ricchissimo, prima di entrare nella diplomazia dove ha scoperto la sua vera vocazione.

Ministro degli Esteri dal 2016, nominato a soli trentasei anni, Al Thani ha trasformato il Qatar in un attore diplomatico indispensabile ben oltre il peso demografico o militare del paese. La sua ascesa a primo ministro nel marzo 2023 ha consolidato un potere che esercitava già da tempo: è lui l'architetto della strategia qatariota di mediazione universale, quell'approccio apparentemente contraddittorio che permette a Doha di ospitare sia la leadership di Hamas sia basi militari americane, di mantenere relazioni eccellenti con l'Iran e allo stesso tempo dialogare con Israele attraverso canali riservati.

Al Thani possiede qualcosa di raro nel Medio Oriente contemporaneo: la fiducia, per quanto relativa e strumentale, di attori che ufficialmente non si parlano. La sua abilità sta nel mantenere questo equilibrio impossibile senza mai sbilanciarsi troppo da una parte.

E veniamo alla vera spina nel fianco di Netanyahu: Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, che rappresentano una corrente che ha sempre attraversato il sionismo, ma che solo negli ultimi anni è diventata forza di governo.

Smotrich, nato nel 1980, è cresciuto nella colonia di Kedumim in Cisgiordania, un dettaglio biografico che spiega molto della sua visione politica. Non è teoria astratta, ma esperienza vissuta: la sua idea di Israele include naturalmente i territori occupati perché lì è nato e cresciuto.

Ingegnere civile di formazione, ha fondato il movimento Regavim dedicato alla difesa degli insediamenti prima di entrare in politica con il partito del Sionismo Religioso. Come ministro delle Finanze dal 2022 controlla risorse enormi che ha utilizzato per espandere gli insediamenti in Cisgiordania, rendendo sempre più difficile qualsiasi soluzione basata su due stati. La sua proposta di sviluppo immobiliare nella Striscia di Gaza dopo la guerra non è cinismo ma coerenza ideologica: crede sinceramente che quella terra appartenga a Israele per diritto storico e religioso.

Itamar Ben Gvir proviene da una tradizione ancora più radicale. Nato nel 1976, è cresciuto nell'orbita del kahanismo, il movimento del rabbino Meir Kahane che predicava l'espulsione degli arabi da Israele ed è stato messo fuori legge per estremismo. Da giovane Ben Gvir è stato arrestato più volte per incitamento, e in passato teneva in casa un ritratto di Baruch Goldstein, l'estremista che massacrò ventinove palestinesi in preghiera a Hebron nel 1994. Come ministro della Sicurezza Nazionale dal 2022 ha spinto per una linea durissima contro i palestinesi, distribuendo armi ai coloni e sostenendo l'uso della forza senza compromessi.

Infine Marwan Barghouti, il convitato di pietra: l'assente presente. Nato nel 1959 nel villaggio di Kobar vicino Ramallah, appartiene alla generazione che ha vissuto l'occupazione israeliana come unica realtà conosciuta. La sua formazione politica è avvenuta nelle prigioni israeliane, dove ha passato sette anni tra il 1978 e il 1987, diplomandosi ideologicamente nelle celle che sono state l'università di tanti leader palestinesi.

Durante la prima Intifada ha guidato le proteste popolari in Cisgiordania, combinando attivismo di massa e organizzazione politica in un modo che lo ha reso popolare ben oltre i ranghi di Fatah. Gli anni Novanta lo hanno visto emergere come figura di spicco nel processo di Oslo, membro del Comitato Centrale di Fatah e del Consiglio Legislativo Palestinese.

A differenza di molti altri dirigenti palestinesi rientrati dall'esilio dopo gli accordi, Barghouti aveva sempre vissuto nei territori occupati, un dettaglio che gli conferiva credibilità presso la popolazione. L'arresto nel 2002, durante la seconda Intifada, ha trasformato Barghouti in un simbolo. Israele lo ha condannato all'ergastolo per omicidio e appartenenza a organizzazione terroristica, accuse che lui ha sempre respinto pur ammettendo di aver guidato la resistenza armata.

Il processo è diventato un palcoscenico dove Barghouti ha rifiutato di riconoscere la legittimità del tribunale israeliano, trasformandosi da imputato in accusatore. La sua pericolosità per Israele non sta nella violenza ma nella leadership potenziale. Barghouti è probabilmente l'unico politico palestinese capace di unificare le fazioni divise: rispettato da Hamas per la sua storia di resistenza, accettato dall'Autorità Nazionale Palestinese per la sua appartenenza a Fatah, popolare tra i giovani che vedono in lui un'alternativa sia ai vecchi dirigenti corrotti sia agli islamisti.

Sondaggi condotti negli anni hanno costantemente mostrato che in elezioni libere vincerebbe facilmente. Netanyahu ha promesso a Ben Gvir che Barghouti rimarrà in carcere, una decisione che rivela quanto il nome di quest'uomo pesi nelle dinamiche interne israeliane: un possibile leader palestinese moderato, che renderebbe impossibile negare l'esistenza di un partner per la pace.

  • Ifis - Siamo il credito per la tua azienda 300x600
  • Ifis - Siamo il credito per la tua azienda 300x600
  • Non è solo luce e gas, è l'energia di casa tua.
  • Villa Mafalda Ottobre Rosa
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
Rimani sempre aggiornato sulle notizie di tuo interesse iscrivendoti alla nostra Newsletter
Notizie dello stesso argomento
Pace - Gli architetti di un accordo difficile
09/10/2025
Barbara Leone
Pace - Gli architetti di un accordo difficile: i protagonisti dell'accordo su Gaza
Spagna: il presidente degli industriali invita i lavoratori a denunciare gli assenteisti
09/10/2025
Redazione
Spagna: il presidente degli industriali invita i lavoratori a denunciare gli assenteisti
Se la pace la fanno i politici, cosa resta della guerra?
09/10/2025
D.M.
Se la pace la fanno i politici, cosa resta della guerra?
Pace - A Gaza si festeggia, ma piovono ancora bombe sul futuro della Striscia
09/10/2025
Diego Minuti
Pace - A Gaza si festeggia, ma piovono ancora bombe sul futuro della Striscia